Alla fine anche i Vescovi italiani hanno detto basta. La nota della Cei di ieri sera ha segnato una frattura inedita tra i vertici del Clero e il Governo Conte. Dopo aver accettato per due mesi la sospensione delle liturgie e finanche la mancata celebrazione della Messa di Pasqua, i Vescovi davanti alla mancata riapertura delle Chiese, hanno sbottato parlando apertamente di ‘esercizio della libertà di culto compromesso’. ‘Il Decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo’ – ha denunciato la Cei rivendicando la ‘pienezza della propria autonomia’.
Una presa di posizione che deve far riflettere (e infatti immediatamente Conte è intervenuto promettendo un ‘protocollo per permettere la celebrazione delle liturgie’), ma che suona quantomeno tardiva. Perchè l’autonomia di cui i vescovi parlano non è solo lo specchio della storica dialettica tra Stato e Chiesa, ma rappresenta i sentimenti più profondi che risiedono nell’animo di tanti uomini e donne.
In questi mesi abbiamo assistito a una pandemia senza Dio, forse per la prima volta davanti a una emergenza mondiale l’umanità ha rinunciato a guardare oltre, coi pensieri inchiodati a terra dalle raccomandazioni di virologi e tecnici, incapace anche solo di immaginare di poter camminare sulle acque delle proprie miserie e delle proprie paure. Una razionalità malposta perchè la rinuncia alla forza di una Fede comunitaria non è stata rimpiazzata da nessun altra Speranza vera, con la promessa di un miracoloso Vaccino rimasta in sospeso come una vaga chimera.
Al di là della scenografia piazza San Pietro deserta, al di là delle pur bellissime immagini del Papa solo nelle vie di Roma, la Chiesa in questi due mesi ha deciso senza protestare di accettare di dare a Cesare anche ciò che era di Dio. Nemmeno ha tentato un compromesso che consentisse di trovare una strada che unisse sicurezza sanitaria e libertà di culto. Niente, nulla. Tutto chiuso per pandemia. La Chiesa ha dato l’impressione, nella sua composta obbedienza ai Dpcm, che Dio stesso non potesse essere più grande, o semplicemente oltre, il virus che sta piegando il mondo. E il grido evangelico ‘non abbiate paura’ coi portoni delle chiese chiuse è rimbombato troppo flebile per tanti fedeli.
Ora, dopo due mesi, la Cei si accorge che la libertà di culto è compromessa. Ed è un bene. Ma lo è stata – compromessa – da settimane. E la motivazione con cui i Vescovi italiani chiedono di poter tornare a celebrare la Messa è in fondo la cifra di una ulteriore rinuncia a una spiritualità slegata dal contingente. La Cei richiama infatti il sacrosanto e meritorio impegno al servizio ai poveri, come se servisse un atto concreto, un programma da Ong, per giustificare il diritto alla Preghiera collettiva, puntando i riflettori sullo spirito servizievole di Marta e dimenticando la dolcezza e l’ascolto apparentemente inattivo di Maria.