Alla Mostra di Venezia si protesta ma gli italiani preferiscono il cinema Usa

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Alla Mostra di Venezia si protesta ma gli italiani preferiscono il cinema Usa

02 Agosto 2009

Rispunta il “Movem ’09 – Movimento Emergenza Cultura Spettacolo Lavoro”, la Gilda degli attori e dei registi italiani che protestano contro i tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). Durante la presentazione dell’incombente Mostra del Cinema di Venezia, il portavoce Sergio Castellitto ha letto un appello “In difesa dei diritti del pubblico”, mentre i suoi colleghi volantinavano all’ingresso dell’Hotel come ai vecchi tempi. Castellitto ha fatto un “gesto futurista” (parole sue) riducendo in coriandoli il manifesto, con grandi sghignazzi della truppa ai danni del ministro Bondi. Uno stressato Carlo Verdone annunciava: “Ormai, se non sono multiplex, le sale cinematografiche chiudono a centinaia”. Nel trauma generale dilagato in sala qualcuno è svenuto e altri chiedevano kleneex per asciugare le lacrime.

I trend segnalati dalla rivista “Ciak” raccontano un’altra storia. Nell’ultimo anno non sono diminuiti gli italiani che vanno al cinema ma gli spettatori che guardano film italiani. Se i multiplex crescono è perché “la filosofia del blockbuster” piace, con grande scorno dei nostalgici di Nuovo cinema Paradiso. (A proposito di budget e nostalgia, la Bagheria ricostruita in Tunisia dal più magico dei realisti nostrani, Giuseppe Tornatore, ha un cast e costi di tutto rispetto; vedremo se il pubblico sarà alla stregua dell’impresa). Diamo anche i numeri: nel 2007-2008 sono stati staccati 32,6 milioni di biglietti per i film italiani (il 33,9 per cento del mercato); quest’anno sono scesi a 23,7 milioni (il 24,5 per cento). Il cinema americano invece ha guadagnato 7 milioni di spettatori in più, ritagliandosi il 63,4 per cento della torta. Nonostante la crisi gli italiani vanno al cinema, ma siccome c’è la crisi preferiscono un po’ di relax. Il film più visto in assoluto è stato Madagascar 2 (25 mln di euro di incassi).

Sai che scoperta. Per lo spettatore medio che medio non  è, sempre meglio un kolossal yankee o un italico “cinepanettone” che la pletora di film su questo e l’altro Sessantotto. (Alla presentazione della Mostra di Venezia abbiamo contato, nell’ordine – e alla voce “cinema italiano d’autore”: Le Ombre Rosse di “Citto” Maselli, Il grande sogno di Michele Placido, Cosmonauta dell’esordiente Susanna Nicchiarelli…) Invece il cinema americano ogni anno produce film preziosi e pensati per fare incassi mostruosi. Piccoli o grandi capolavori come The Road, la trasposizione del racconto di culto scritto da Cormac McCarthy, presentato a Venezia e che vedremo l’anno prossimo in Italia.

Un libro vincitore del Premio Pulitzer che diventa film, proseguendo la saga iniziata con The Day After e anticipata dal fu Charlton Heston. Un mondo tenebroso da cui non è scomparsa la Speranza – con Viggo Mortensen nei panni del “Padre” che deve scortare “Il figlio” fino alla salvezza –, una storia semplice e senza fronzoli ideologici. C’è il Bene, il Male e l’eterna lotta della sopravvivenza. Il regista americano John Hillcoat si è ritrovato alle prese con uno dei capolavori assoluti della narrativa breve e tardo modernista e, mentre la critica discetta di Culture Theory e Late Capitalism, gli spettatori paganti si preparano a consumare tonnellate di pop-corn davanti alla scena in cui “Il Padre” dà una lattina al “Figlio” spiegandogli com’era il mondo prima che sparisse la Coca Cola. In America highbrow e lowbrow non sono nemici di classe.

Qui da noi se sei fortunato come Hillcoat puoi scrivere l’adattamento di Amore 14, anche se il genere giovanilista non tira più come un tempo. E allora, se proprio ce n’è bisogno, schieriamoci pure con chi difende i finanziamenti pubblici alla cultura e allo spettacolo, una battaglia di principio per tutelare piccoli e grandi interessi corporativi (prima di guardare alla pagliuzza del FUS, la nostra classe dirigente dovrebbe guardare alla trave della sprecopoli politica, ha scritto Goffredo Fofi). Viva la Gilda e l’Alta Cultura. Se ci fosse un’alta cultura, però. Sul celebre tappeto rosso di Venezia, infatti, come ospite d’onore, passerà un’altra volta quello stalinista di Michael Moore. Uno che dell’intrattenimento ricreativo di propaganda ha fatto un genere very multiplex.