Alla Roubaix non si vince, si trionfa. E Johan Van Summeren lo sa

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Alla Roubaix non si vince, si trionfa. E Johan Van Summeren lo sa

11 Aprile 2011

Alla Roubaix non si vince, si trionfa. Chiedi alla polvere, scriveva John Fante, e tra la polvere della 109esima Parigi-Roubaix trionfa Johan Van Summeren. Dopo Goss alla Sanremo e Nuyens al Fiandre, un altro outsider beffa i vari Cancellara, Boonen e Hushovd. Belga, trent’anni, uno spilungone di quasi due metri, in carriera aveva vinto solo due volte al Giro di Polonia: la rivincita dei gregari stavolta entra nell’olimpo del ciclismo direttamente nella Regina delle classiche.

“Sospendiamo questo progetto diabolico”. Quando nel 1896 il redattore de Le Velo Victor Breyer provò a pedalare da Amiens a Roubaix sotto la pioggia, capì subito che la corsa che gli avevano chiesto di organizzare sarebbe stata ai limiti delle possibilità umane. La prima edizione della Roubaix nacque per volere di due imprenditori tessili: Perez e Vienne avevano appena finanziato la costruzione del velodromo di Roubaix, ed assieme al giornale di Breyer volevano dare lustro alla cittadina al confine col Belgio facendovi arrivare una corsa che partisse da Parigi. L’imperativo era far nascere una gara su strada intervallata ad antichi sentieri di campagna. 

Si sarebbe rivelata un calvario di sassi e pietre, blocchi di porfido e vibrazioni continue che fanno sobbalzare i muscoli e la mente. Mettere una ruota in una fessura voleva dire la fine. Con la pioggia un equilibrio impossibile, con il sole polvere, caldo e sudore. Un’idolatria quasi maniacale per pietre vecchie di secoli custodite gelosamente da “Les Amis de Paris-Roubaix”, 250 soci che restaurano e persino lavano i sacri blocchi di basalto. 

Una leggenda che dalla fine dell’Ottocento ha visto trionfare tredici italiani, dalle due vittorie dello spazzacamino Garin (vincitore anche nella prima edizione del Tour de France), a Jules Rossi (1937), passando per Fausto Coppi, Bevilacqua, il giovane Gimondi, la mitica tripletta consecutiva di Francesco Moser (78′, 79′ e 80′), le vittorie del compianto Ballerini nel 95′ e nel 98′, infine l’ultima di Andrea Tafi nel 99′.

La Roubaix è storia ed epica: Roger De Vlaeminck, il gitano di Eeklo amante delle belle donne è l’unico ad averla vinta quattro volte (1972-74-75-77). Ad un passo da lui, Tom Boonen con tre vittorie. "I suoi successi non valgono neppure un mio calzino", disse l’anno scorso De Vlaeminck.

E quasi fosse una maledizione, il belga anche ieri è stato preso di mira dalla sfortuna, prima con un problema meccanico al cambio nella foresta di Aremberg, poi con una caduta proprio quando s’era riagganciato al gruppo dei migliori. Anche il suo compagno Chevanel fora e cade, invece Fabian Cancellara, favorito numero uno, deve accontentarsi solo del secondo posto a diciannove secondi dal primo. Come al Fiandre la settimana scorsa, lo svizzero paga la mancanza di una squadra competitiva.

Tra gli italiani tiene solo Ballan, che è pure sub iudice, impelagato com’è in un’inchiesta per doping che potrebbe costargli la squalifica. E’ una gara molto tattica e a tratti indecifrabile, il caldo è forte e il fondo duro e spigoloso. La fuga vincente parte a 140 km dal traguardo, e dentro c’è pure il nostro Quinziato. Cancellara prova più volte a riprendere i fuggitivi, ma è solo contro tutti: il campione del mondo Thor Hushovd e il nostro Ballan riescono a tenere il passo, ma di dargli il cambio proprio non se ne parla; il norvegese alla fine s’accontenta di remare per il suo compagno Van Summeren, Ballan invece gioca di rimessa e spera in Quinziato. Per una volta sono i campioni a inseguire.

Alla fine il forcing solitario di Cancellara è tardivo, Van Summeren ad uno ad uno stacca tutti i suoi compagni di fuga, fila via liscio su tutti i tratti di pavè e s’invola solo negli ultimi 20 chilometri. Tagliato il traguardo, piange con la fidanzata in ginocchio di fronte a lui.

Sa di essere entrato nella storia: una vita da gregario, anni di fatica e sacrifici in cambio del sogno di ogni ciclista. Alla Roubaix non si vince, si trionfa.