Alla Scuola politica di Magna Carta una lezione su Russia, Occidente e libertà
25 Ottobre 2023
“La libertà, il libero mercato, per noi occidentali rappresentano un punto di forza ma molto spesso vengono percepiti dalle altre potenze come un elemento di debolezza”. Per comprendere fino in fondo l’affermazione fatta dalla professoressa Maria Teresa Giusti nel corso della lectio magistralis tenuta a L’Aquila in occasione dell’inaugurazione della Scuola politica di Magna Carta, vale la pena tornare all’intervista rilasciata da Vladimir Putin nel 2019 al Financial Times. In quell’occasione, il presidente russo sosteneva che le democrazie liberali sono corrotte e decadenti, criticando ferocemente la società aperta sulla questione dell’immigrazione. A colpire non fu solo l’atteggiamento di Putin, quanto la ritrosia dei giornalisti occidentali nel controbattere che la libertà non può essere considerata un valore obsoleto. Così come non lo sono lo stato di diritto e i diritti umani.
Certo se Putin si fosse limitato a esprimere la sua personale avversione verso la civiltà occidentale non sarebbe stato un problema, considerando che il pregiudizio antioccidentale alligna sotto varie forme anche nelle nostre società (il libro di Buruma e Margalit del 2004 sull’‘occidentalismo’ spiega molto bene perché). Lo è diventato, un problema, quando Putin ha scelto di passare dalle parole ai fatti, mandando i carri armati russi in Ucraina, dopo aver occupato la Crimea e cercato di invadere la Georgia. Come dire, se percepisci o descrivi il tuo nemico come un ‘debole’, puoi anche convincerti di poterlo sconfiggere. Questo discorso vale per l’intervista di Putin al Financial Times come per i vecchi proclami alla Guerra Santa lanciati dalle caverne dell’Afghanistan da Osama Bin Laden, quando il capo di Al Qaeda diceva che gli occidentali non avevano il coraggio di combatterlo sul terreno ma si limitavano a sganciare bombe sulla sua testa.
Dopo la caduta di Kabul
Più di vent’anni dopo l’11 Settembre, la caduta di Kabul con la ritirata della coalizione internazionale dall’Afghanistan e il ritorno al potere dei Talebani ha contribuito ad alimentare la percezione che i regimi illiberali hanno sulla ‘debolezza’ della democrazia occidentale. “Il ritiro dall’Afghanistan è stato un grave errore,” spiega la professoressa Giusti. “Se le liberal-democrazie non reagiscono davanti ai crimini di guerra, l’Occidente finisce per apparire debole”. Aver abbandonato in modo caotico e disorganizzato l’Afghanistan è stato un innesco per quanto abbiamo visto accadere negli anni successivi alle porte dell’Europa e in Asia.
Nel 2021, mentre l’Afghanistan spariva dai radar mediatici euroamericani, Putin ammassava truppe al confine con Kiev per poi entrare militarmente in Ucraina cercando di rovesciare il presidente Zelensky. La professoressa Giusti mette in fila le date successive all’invasione russa del febbraio 2022. Alla fine dello scorso settembre la Cina intensifica le operazioni militari navali e aeree attorno ai cieli e alle acque taiwanesi; il 19 settembre l’Azerbajgian attacca l’area sotto controllo armeno nel Nagorno Karabakh, conteso da trent’anni fra Baku ed Erevan; probabilmente anche l’attacco sferrato dai terroristi di Hamas contro Israele, a lungo preparato e che inserisce nella irrisolta questione delle guerre arabo-israeliane, può essere letto nell’ottica che abbiamo descritto. Cina e Russia percepiscono la debolezza occidentale e passano all’azione.
Le ‘relazioni pericolose’
Si può dire che le aggressioni portate avanti dai regimi illiberali in realtà sono lo specchio della loro insicurezza? “La paura nei confronti dell’Occidente è uno di quegli elementi che dobbiamo comprendere se vogliamo analizzare i rapporti con la Russia,” risponde la professoressa, ricordando la dottrina sulla sicurezza sovietica tra la fine degli Anni Venti e i primi anni Trenta del secolo scorso. Anche allora, l’obiettivo della politica estera russa era garantire a Mosca di avere il tempo sufficiente a costruire lo stato sovietico determinando la propria sfera di influenza. Tanto da stringere relazioni anche con il Fascismo in chiave antiliberale. Qui ci limitiamo a ricordare che la lectio magistralis della professoressa Giusti è stata dedicata ad approfondire le ‘relazioni pericolose’ tra Italia e Unione Sovietica nel periodo 1924-1941, a lungo studiate sulla base delle fonti di archivio dei due Paesi (si può visitare il sito della Fondazione per approfondire i contenuti della lezione magistrale; a questo tema Giusti ha dedicato il recente volume Relazioni pericolose. Italia fascista e Russia comunista edito da Il Mulino).
La dottrina della sicurezza di Mosca
Per Mosca, allora come oggi, la questione è stendere attorno alla Russia un cordone di protezione fatto di ‘stati cuscinetto’ che impediscano agli occidentali, Napoleone prima, i nazisti dopo, infine la NATO, di poter arrivare a Mosca. Il Cremlino storicamente considera l’Ucraina un territorio di congiunzione, una zona di confine, kraj. La sensazione russa di sentirsi assediati dagli occidentali dopo la proposta fatta a Kiev di entrare nella Ue nel 2014 è una delle ragioni per cui si è riaccesa la miccia nel Donbas. Le questioni di frontiera, insomma, pesano tra le ragioni di un conflitto che quando finirà porterà molto probabilmente a una ridefinizione dei confini e a una nuova idea di Europa. In ogni caso, la percezione di un Occidente ‘debole’ e pericoloso, la paura dell’’occintosiccazione’ come la chiamava l’ayatollah Khomeini, spinge i regimi a reagire. Non solo con le armi.
Da un punto di vista diplomatico, Mosca non ha rinunciato a usare forme di diplomazia sotterranea con i suoi avversari in Europa: “Le ‘relazioni pericolose’ continuano ad esserci se è vero che nel 2022 e nel 2023 la Russia ha continuato a incassare enormi profitti dalla vendita delle sue materie prime anche in Europa,” sottolinea la professoressa Giusti. “Questo dovrebbe farci chiedere se le sanzioni contro Mosca stanno effettivamente funzionando”. In conclusione, la paura e insieme il disprezzo verso il ‘debole’ Occidente, le ragioni politico-diplomatiche e di natura geopolitica che abbiamo elencato sommariamente, mostrano i rischi che corrono le liberal-democrazie tenendo un atteggiamento orientato al compromesso con Putin. Accettare l’invasione dell’Ucraina contribuirebbe a renderle ancora più deboli agli occhi dei loro avversari che non sono solo a Mosca.
I rischi di una ‘pace a metà’
Le conseguenze della caduta di Kabul e della successiva invasione russa in Ucraina hanno gettato un’ombra sulla capacità occidentale di difendere i propri valori nell’arena globale. Nei giorni scorsi, un esponente politico giapponese ha detto che il mondo libero non può perdere l’Ucraina e forse, ancora meno, la può perdere l’Asia. I timori di Tokyo sono condivisi da altri stati democratici in Asia, Corea del Sud, Singapore, India, Australia, che guardano con preoccupazione alle mosse della Cina. Il Giappone si è schierato a più riprese al fianco dell’Ucraina, inviando armi e sostenendo il governo di Kiev. La scelta giapponese di presentarsi come un difensore dell’ordine internazionale liberale, rafforzando l’intesa con gli Stati Uniti, mostra però che gli alleati di Washington, ognuno alle prese con le rispettive opinioni pubbliche, si chiedono se gli Usa sceglieranno di andare fino in fondo in Ucraina.
Perché, conclude la professoressa, una ‘mezza pace’ in Ucraina, un compromesso raggiunto tra le grandi potenze sulla testa di Kiev, l’impressione di una ‘vittoria dimezzata’ per Mosca e dunque di una nuova mezza sconfitta per l’Occidente, aprirebbe al rischio di una prova di forza muscolare tra Pechino e Taiwan in Asia. Mentre Joe Biden atterrava a Gerusalemme per incontrare Netanyahu dopo l’assalto islamista contro Israele, Putin volava a Pechino…