Alle amministrative in Abruzzo c’è già uno sconfitto: le quote rosa

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Alle amministrative in Abruzzo c’è già uno sconfitto: le quote rosa

18 Aprile 2011

di F. C.

Il dato era incoraggiante: nel Comune di Roseto, in provincia di Teramo, in lizza tra i candidati alla poltrona di sindaco c’è anche una donna: Teresa Ginobile. Poteva essere il segno che la legge sulle quote rosa, incoraggiata da un acceso dibattito degli ultimi mesi, sta dando i primi frutti. Ma l’entusiasmo è durato ben poco.

Già, perché dopo aver studiato con attenzione le ben 76 liste delle amministrazioni abruzzesi interessate al voto del 15 e 16 maggio, il numero delle donne candidate appare talmente ridotto che fare una stima percentuale del loro inserimento nella vita politica della Regione è cosa ridicola.

Fatta eccezione dell’esempio virtuoso di Secinaro, un piccolo comune in provincia dell’Aquila, dove a competere per la poltrona di sindaco saranno due donne, Dolores la Rocca e Clementina Graziani, per il resto il quadro è desolante. Oltre a qualche sparuto nome qua e là tra i candidati sindaci, come quello di Silvia Spinelli ad Archi (Ch) o di Incoronata Ronzitti a Vasto (Ch) e ad alcune presenze quasi casuali nelle liste, non si è andati. C’è davvero da preoccuparsi se trovare un nome femminile tra lunghissimi elenchi di uomini resta ancora un’impresa titanica. Eppure una disposizione già presente dal 1993 – ma mai applicata – imporrebbe che nelle liste elettorali, quelle dei candidati, almeno un terzo sia formato da donne.

Dati alla mano, dunque, l’Abruzzo si allinea perfettamente alle medie dei municipi italiani dove le donne sono solo 23.654, il 18,7% del totale. E i sindaci donne sono 880, il 10,9% del totale. E così si torna sempre al punto di partenza. Alle pari opportunità che in Italia non sono affatto "pari" e alla grande contraddizione di stabilirle per legge. Come ha pensato di fare il ministro Mara Carfagna, che per introdurre un po’ di "rosa" nei comuni italiani proprio nei giorni scorsi ha presentato in Consiglio dei ministri un disegno di legge che prevede: primo, la doppia preferenza nelle schede elettorali. Ovvero: si potrà esprimere una preferenza, ma se la seconda preferenza è di sesso diverso da quello della prima, se ne potranno esprimere due. Secondo: in ogni amministrazione comunale dovrà essere presente almeno una donna. Il terzo punto è quello già ricordato delle quote nelle liste elettorali. Una disposizione, appunto, esistente del 1993. Il disegno di legge è stato approvato, anche se andrà in vigore dal prossimo maggio. Peccato, però, che nel frattempo si sia arenato un altro fronte, quello delle quote rosa nei Cda delle società quotate in borsa.

Nel dibattito che sta accompagnando questa difficile rivoluzione culturale, è difficile dar torto a chi afferma che, al di là delle rivendicazioni legittime, le quote rosa in realtà rappresentino un’offesa alle donne, perché sanciscono un’ingiustizia. Ma soprattutto ad essere sbagliato è il concetto dell’imporre una presenza, perché significa prescindere dal merito. E questa sì è davvero una contraddizione con la storia delle donne, che il merito lo dimostrano ogni giorno. Nella maggiore determinazione e nel maggiore impegno che, a parità di titoli, devono mettere in campo per vedersi riconoscere i propri diritti rispetto ai colleghi uomini.

E’ vero, di quote rose non ci dovrebbe essere bisogno. Ma questo può essere valido in un mondo ideale: senza pregiudizi, con pari possibilità per tutti e dove la conciliazione è una regola e non una dura conquista. Ma dove ci sono ostacoli, le quote rosa appaiono necessarie, se non altro per dimostrare che un equilibrio sfavorevole alle donne deve essere rotto. Ha ragione chi dice che "le quote rosa sono una cattiva risposta ad un problema mal posto". Ma ha ragione anche chi risponde che finora "sono l’unica soluzione che ha funzionato".

(Tratto da Il Centro)