Alle antiche origini del confronto tra Oriente e Occidente
05 Agosto 2007
Nel 333 a.C. Alessandro Magno tagliò con la propria spada il
Nodo di Gordio, sciogliendo il quale – voleva la leggenda – si sarebbe divenuti
padroni dell’Asia. Su questo fatto storico (o presunto tale), negli anni
Cinquanta, Ernst Jünger e Carl Schmitt diedero alle stampe un libro omonimo che
recava come sottotitolo “Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo”.
Ciò che legittimava una filosofia della storia fondata sulla dialettica fra
Levante e Ponente era la constatazione, come scriveva Carlo Galli introducendo l’edizione
italiana “che, per lunghissimo tempo e secondo una tradizione illustre che
risale almeno alle guerre dei Greci contro i Persiani, l’autocoscienza d’Europa
si è manifestata come contrapposizione rispetto all’Oriente, come lotta fra
libertà e dispotismo”. Del resto, va in questa stessa direzione la scelta del
Presidente della Convenzione europea Giscard d’Estaing di porre in epigrafe al
testo del progetto di costituzione un passaggio del noto discorso che Tucidide,
nella Guerra del Peloponneso,
attribuisce a Solone (“Il nostro ordine politico non si modella sulle
costituzioni straniere. Siamo noi d’esempio ad altri, piuttosto che imitatori.
E il nome che gli conviene è democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma
della cerchia più ampia di cittadini […]”), in cui si esprime implicitamente il
proposito da parte di Atene di continuare la battaglia per la libertà, un tempo
combattuta contro i Persiani ed ora continuata nei confronti di Sparta, secondo
un andamento molto simile a quelle che abbiamo conosciuto con la Guerra fredda
Usa-Urss. In altre parole, la storia del “dispotismo orientale” è quella che
Norberto Bobbio ha brillantemente definito l’“ideologia europea” (nel significato
non peggiorativo del sostantivo in oggetto).
Esce in questi giorni in Italia un libro che si muove su
questa falsariga, di cui è autore Tom Holland, bravissimo divulgatore della BBC
che già ha lavorato ad adattamenti televisivi di vari classici greci e latini.
Il titolo è Fuoco persiano e – senza
farsi mancare in copertina il celebre Leonida
alla Termopili di Jacques Louis David, conservato al Louvre – narra del confronto con
l’impero di Dario e Serse, che si chiuse vittoriosamente per i greci nel 480
a.C. con la battaglia di Salamina. Riecheggiando il quesito che assillava Bush
dopo l’11 settembre – “Perché ci odiano?” –, Holland afferma che “la storia
stessa è nata con questa domanda giacché fu nel conflitto fra Oriente e
Occidente che il primo storico del mondo, nel lontano V secolo a.C., scoprì il
tema dell’opera di tutta la sua vita. Si chiamava Erodoto”. In risposta ad
alcune obiezioni sollevate da Luciano Canfora sul Corriere della Sera, Holland ha splendidamente scritto che “Gli
atti eroici di Maratona, delle Termopoli e di Salamina hanno fornito il mito
fondatore della civiltà occidentale a partire dal XVI secolo, fungendo da puro
archetipo del trionfo della libertà sulla schiavitù, e delle austere virtù
civiche sul dispotismo snervato”. Insomma, a giudizio di Holland, e della
tradizione a cui abbiamo fatto riferimento, la distanza fra Oriente e Occidente
avrebbe qualcosa di archetipico, non essendo altro che “il presupposto più
duraturo della storia. Molto più antico delle crociate, dell’Islam e del
cristianesimo”.
Ma, come affermava Edward Gibbon, “la differenza fra Est e
Ovest è arbitraria e si sposta intorno al globo”; e come non vedere allora,
come nascondersi il fatto palmare che oggi la linea di simmetria che separa
Levante e Ponente distingue il Cristianesimo dall’Islam, esattamente come ieri
separava il comunismo dal capitalismo? “La globalizzazione avrebbe dovuto
sancire la fine della storia e invece sembra destare dal loro riposo ancestrale
un gran numero di fantasmi sgraditi”.
Non è semplicissimo trovare un significato ultimo,
unificatore di queste reiterate contese; ma anche in questo caso Holland sembra
darci una risposta convincente, collocando l’accento su alcuni dati di civiltà che
l’Occidente, sulla scorta della propria storia (ed anche dei propri errori), può
dire di avere acquisito; l’aver conosciuto le peggiori brutture del Novecento
non legittima alcuna superiorità, ma almeno agevola la consapevolezza di quelli
che sono gli orrori da non ripetere, i valori a cui non rinunciare, le strade
dell’Inferno da rifuggire, sentieri che, come dice un vecchio adagio, sono “lastricati
delle migliori intenzioni”. A costo di sembrare faziosi, condividiamo con
Holland l’idea che quanto è in predicato nel confronto fra Est e Ovest richiama,
seppure con sfumature diverse a seconda delle contingenze storiche, “Il
monoteismo e la nozione di uno Stato universale, la democrazia e il
totalitarismo” sulla base dell’assunto che “la loro origine risale al periodo
delle Guerre Persiane”. Non c%E2