Alle politiche Putin non può perdere ma come può vincere?

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Alle politiche Putin non può perdere ma come può vincere?

30 Novembre 2007

Uno degli
aspetti più curiosi della campagna elettorale russa è la cosiddetta caccia alla
‘scheda non vincolata al seggio’ che permette all’elettore di votare in un
posto diverso da quello della sua circoscrizione elettorale.

Ai tempi
dell’Unione Sovietica, questo marchingegno permetteva al cittadino che non
voleva partecipare all’assurda procedura di elezioni prive di scelta, di farlo
senza essere notato. Le elezioni del 2 dicembre, il cui esito è pienamente
scontato, non suscitano un grande entusiasmo, ma di fronte a una massiccia
campagna di mobilitazione condotta dal Cremlino gli elettori prudentemente
domandano la scheda non vincolata, richiesta da una percentuale molto più alta
di quella della votazione precedente. Per contrastare il fenomeno, il
presidente della Commissione elettorale centrale ha dichiarato un po’
minacciosamente che ogni scheda non vincolata sarà numerata in modo da poter
facilmente stabilire che fine abbia fatto. Inoltre, molte imprese statali hanno
stabilito che domenica 2 dicembre sarà una giornata lavorativa qualunque. Così
il loro personale sarà obbligato a utilizzare queste schede “libere” e la
partecipazione o meno al voto potrà essere controllata dall’amministrazione.

Perché il
governo di Putin dà tanta importanza alla partecipazione di massa? La vittoria
del partito presidenziale è assicurata. Secondo gli ultimi sondaggi
dell’opinione pubblica, “Russia unita” avrà circa due terzi dei voti che poi in
Parlamento dovrebbero tradursi in una percentuale di almeno il 75% dei
deputati. Il resto dovrebbe essere diviso tra il partito comunista di Zjuganov
e quello liberal-democratico di Zhirinovsky. L’unica incognita rimane il
destino del partito “Russia giusta” creato con un forte appoggio del Cremlino
per indebolire i comunisti, ma diventato inutile appena Putin ha messo il suo
nome a capo della lista di “Russia unita”. Tutti questi partiti, però, non
potranno mai diventare seri rivali del partito del presidente dal momento che
non hanno un programma credibile e perciò non avranno nemmeno sostegno
internazionale. Perché dunque la persecuzione dei piccoli gruppi di oppositori,
simboleggiata dall’arresto del campione di scacchi Kasparov? Perché la quasi
maniacale insistenza di Putin sulla cruciale importanza delle elezioni e il
monito più volte ripetuto di non cadere nella “pericolosa illusione” che tutto
sia già deciso?

Infatti, se
prendiamo per oro colato la dichiarazione rilasciata al vertice di “Russia
unita” secondo cui le elezioni rappresentano un referendum su Putin, tutta
questa mobilitazione non avrebbe alcun senso. E non si tratta neanche dei
tentativi di assicurare la regolarità e la solidità della democrazia procedurale
russa di fronte al forte scetticismo della comunità internazionale. Si tratta
piuttosto di costruire la nuova architettura del potere politico, i cui
contorni rimangono ancora allo stato liquido.

L’obiettivo
di “Russia unita” è stato definito con una formula tanto energica quanto vaga:
“niente meno della vittoria!”. Ma se alla Duma è già garantita la maggioranza
assoluta, quale risultato corrisponderà alla vittoria? Nelle elezioni
presidenziali del 2004 Putin ha ricevuto il 71 percento dei voti e il
superamento di questa cifra nel 2007 potrebbe essere la prima approssimazione
della vittoria desiderata. Il partito di Putin dovrebbe raccogliere più voti di
un futuro vincitore delle elezioni presidenziali del marzo 2008. Un tale
risultato non sarebbe soltanto indicativo dell’odierna popolarità di Putin, ma
gli darebbe anche il diritto di presentarsi come il “leader di tutta la
nazione”. Il suo principale obiettivo è la trasmissione del peso politico
acquisito con il mandato presidenziale al ruolo di leader nazionale super
partes che egli vorrebbe diventare, in modo da influenzare o addirittura
controllare il nuovo presidente. Nel settembre 2007, in un incontro con i
politologi russi, Putin ha definito quella che è la sua visione del nuovo
presidente: una figura “forte e autosufficiente” che, nondimeno, dovrà
“mettersi d’accordo” con il suo predecessore. Convinto che un suo terzo mandato
conseguito a furor di popolo non gli sarebbe convenuto, Putin ha anche capito
che la redistribuzione del potere politico tra presidente e primo ministro
avrebbe richiesto una riscrittura della costituzione altrettanto pesante quanto
l’introduzione del terzo mandato presidenziale. Dopo aver rifiutato sia il
cambiamento della Costituzione che il passaggio alla repubblica parlamentare,
Putin sta ora cercando di disegnare una nuova configurazione del potere
politico che garantirebbe la conservazione del suo primato.

Le elezioni
presidenziali del marzo 2008 porteranno inevitabilmente a una certa dose di
frammentazione del potere politico. Una sua nuova concentrazione, però,
potrebbe essere realizzata creando un nuovo centro decisionale che assumerebbe
la forma della leadership del partito dominante. Il suo capo, pur non essendo
né presidente né primo ministro, avrà l’ultima parola in quanto leader
nazionale riconosciuto. Questa soluzione, che evoca immediatamente la figura di
Deng Xiaoping, viene ora discussa e analizzata a Mosca. La portata della
vittoria di “Russia unita” rimane così la vera incognita delle elezioni parlamentari
russe.