All’Europa del futuro serve un ritorno al Medioevo

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All’Europa del futuro serve un ritorno al Medioevo

19 Giugno 2010

La balcanizzazione dell’Europa sembra un’epidemia inarrestabile, ogni volta i media si sorprendono per il successo di partiti definiti come “neofascisti” o “xenofobi”. In questo modo il pensiero mainstream non comprende il fenomeno, ma anzi lo favorisce. 
Le recenti elezioni in Belgio hanno sancito il fallimento di uno stato multietnico. 
Il partito separatista N-va e i liberali fiamminghi Open Vld ottengono il via libera per passare a uno stato federato, preludio a una separazione, in una nazione dove hanno sede le istituzioni dell’Unione Europea.

In Olanda cresce il partito della Libertà, guidato da Geert Wilders, al quale il Quarto Potere politico-mediatico impedì l’ingresso nel Regno Unito, con una decisione per niente à la Voltaire. Il suo partito viene definito “xenofobo e anti islam”, ma questi toni contribuiscono al suo successo, e sono una semplificazione denigratoria e non politica.

La crescita delle formazioni identitarie va invece posta in relazione con la crescita della UE, super-Stato a volte super-distante dalle esigenze del territorio.

In secondo luogo le crisi identitarie vanno correlate col processo migratorio, passando da una visione da Teologia della liberazione a un approccio liberale, più utile allo sviluppo armonioso sulle due sponde del Mediterraneo. 

Cosa è un’etnia?
È una comunità di persone che hanno in comune elementi come la lingua, la religione, la tribù, una nazionalità, il colore della pelle, o un mix di questi sememi culturali.

Ad esempio, il Belgio è diviso tra il nord fiammingo, di lingua olandese, e il sud vallone, di lingua francese. Vi è anche una storica minoranza linguistica tedesca. A ciò si devono aggiungere comunità recenti, come gli italiani immigrati nel corso del ‘900, e i maghrebini. 
Il governo di Bruxelles ha istituito tre “Comunità” vallone, tedesca e fiamminga, con diverse amministrazioni. Inoltre Bruxelles, posta nella regione fiamminga, è a maggioranza francofona, ed è la somma di ben 19 comuni distinti. Più del 58% dei belgi è di lingua olandese, mentre il francese è parlato solo dal 34% della popolazione. Il multiculturalismo insomma nel Belgio è caos, non melting pot.

Serve un’equazione: formazione di mega entità sovranazionali=necessità di ritornare a un modello molecolare, simile a quello dei Comuni, applicato con successo nell’Europa dei due Imperi (quello centrale politico, e quello religioso del papato).

Se l’Europa (la Cina, la Russia etc.) non applicano una versione aggiornata del modello molecolare che nel Medio Evo ha creato il mondo moderno, aprendo l’Europa ai commerci e dando spazio all’iniziativa privata all’interno dei borghi, gli Stati-nazione continueranno a marcire, schiacciati dalla doppia spinta della UE e delle comunità interne.

Se questa tenaglia non viene affrontata nei termini giusti, rischia di trascinare la società civile in un’inesorabile stagnazione culturale ed economica. 

L’hipster
Ci vuole coraggio per dire la verità. In piena guerra d’Algeria, Albert Camus si rivolse allo scrittore  Amrouche con linguaggio paolino: “E’ nel tuo diritto scegliere le posizioni dell’F.N.L. Io personalmente le ritengo delittuose nel presente, cieche e pericolose per il futuro. (…) Sparare, o giustificare che si spari, sui francesi d’Algeria in generale e visti come tali, equivale a sparare sui miei, che sono sempre stati poveri e privi di odio”.  
Camus si distingueva da Sartre e dal partito comunista francese, che comprendevano le “ragioni” del Fronte di liberazione algerino, senza rilevare il sangue che veniva versato anche da quella parte.

Il politico europeo “hipster” non ha visto (razzisticamente) che tutti gli uomini sono uguali, e che pertanto i problemi possono venire sia dagli immigrati sia dai nativi. Ha scelto di mettersi da una parte, la più debole, dimenticando il tutto, col risultato che l’economia e il tessuto sociale europei non hanno saputo godere del libero scambio di persone e merci.

Il movimento hipster iniziò  negli anni ’40, periodo del be bop, ed era segnato dalla passione dei bianchi per Charlie Parker e la cultura jazz. Per i “white negroes” il jazz e il mondo dei neri era un Eden da frequentare come una sorta di bagno di purificazione. Dal punto di vista dei neri, invece essere neri significava fame, razzismo ed eroina. Negli anni ’50 il romanzo Sulla strada di Jack Kerouac e il movimento beat hanno esaltato la figura dell’hipster, dando il la al sistema moda occidentale e alla cultura pop. L’hipster bianco fumava cannabis come un turco, ascoltava jazz (senza suonarlo), vestiva con colori sgargianti e abiti casual, scroccava abitazione, pranzo e sesso, si considerava uno straniero votato al nomadismo dell’autostop, derideva la cultura del lavoro. Era una profezia del ’68. 

Il multiculturalismo successivo riprende alcune degenerazioni della sottocultura hipster. Invece di integrare, ha creato dei quartieri etnici impermeabili l’uno con l’altro. L’hipster tra gli anni ’40 e ’70 tuttavia non era soltanto un radical-chic alla Juliette Greco: nei quartieri di Londra c’era una vicinanza reale tra i figli della worker class e quelli degli immigrati dalle Antille, da cui nascevano sottoculture musicali e politiche.

Il multiculturalismo successivo ha invece sostituito le culture con le “buone leggi” e la “buona burocrazia”. L’hipster italiano del 2000 ha il volto di Walter Veltroni e della sua negritude anche nel corso della rivolta di Rosarno, in cui è venuto alla luce il conflitto tra Stato e mafia, tra poveri italiani e poveri immigrati, in un coacervo di parole dal quale non è uscito nulla di concreto, se non la perpetuazione della criminalità (locale o d’importazione) e della sua controparte: l’assistenzialismo. Gli immigrati se ne fregano della solidarietà a parole e a spiccioli, a loro interessa un lavoro e un tetto. Ma la Grande Crisi ha rovesciato tutto, denudando gli hipster e ponendo i problemi in termini nuovi e drammatici. Ormai le dinamiche mondiali stanno cambiando: il Maghreb non è più una terra pasoliniana di poveri; il porto di Tangeri sarà il più grande del Mediterraneo e finirà per uccidere quello di Rotterdam. Mentre il porto di Genova decade (senza autostrade né ferrovie alle spalle), in Turchia, Egitto, Malta e Tunisia si costruiscono porti giganteschi e tunnel sotto il mare (due a Istanbul, uno previsto tra Africa e Gibilterra). 

La Variabile islamica 
L’integralismo si è radicato in Europa più che nel Medio oriente. La jihad si propone come guerra alternativa a quelle etniche, che insanguinano l’area ex sovietica fino al Kirghizistan, e l’Oriente fino alla Cina.

Soluzione (anti)finale
Mosca, scrive l’agenzia Ria Novosti, sta diventando una capitale multietnica, con quartieri popolati da armeni, azeri e cinesi, così come a Londra o San Francisco (dove il sito del comune è in inglese, cinese e spagnolo).

Secondo fonti di polizia nei primi sei mesi del 2010 ben 571.000 stranieri si sono trasferiti a Mosca. Cresce l’allarme su un ritorno della guerriglia urbana degli anni ’90, tra azeri e armeni della capitale russa. 

Anche in Russia aumentano i temi identitari, dopo il crollo dei grandi sistemi culturali, religiosi, politici e l’ipertrofia dello Stato. L’alternativa è data da Cameron, con lo slogan “Meno stato e più società civile”, simile a quanto avveniva nei Comuni medievali. A noi mediterranei serve la nascita del libero mercato in Africa, dove la decolonizzazione ha perpetuato un sistema di caste mai superato. Molti partiti identitari europei – magari senza saperlo – propongono questo tipo di soluzioni, che non vanno confuse con vecchi schemi politici.

I veri partiti xenofobi e neofascisti sono invece poco diffusi e si confondono nei loro temi portanti con la sinistra estrema, essendo entrambi contrari al liberalismo, utilizzatori di linguaggi violenti, nemici del “sionismo” e contro ogni forma di globalizzazione e condivisione culturale.