Allez le blues!

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Allez le blues!

02 Luglio 2010

I mondiali, oltre alla delusione per l’uscita prematura dell’Italia, ci infliggono un’altra lezione. Il presidente della Federcalcio francese, Jean Pierre Escalettes, ha presentato un paio di giorni fa sue le dimissioni (da oggi saranno effettive) per gli insuccessi messi in fila dalla nazionale nella spedizione sudafricana. E questo nonostante i transalpini abbiano ottenuto l’organizzazione di Euro 2016.

Le pressioni del mondo politico e dell’opinione pubblica d’oltralpe hanno spinto Escatettes a rimettere il proprio mandato per un senso di responsabilità personale. Non solo, l’ex funzionario si è pure presentato in Parlamento per spiegare pubblicamente i motivi dell’insuccesso. Stessa sorte è toccata al dimissionario allenatore dei Blues, Raymond Domenech che, nonostante la proverbiale spocchia, ha comunque chinato il capo e accettato di farsi da parte.

Comportamenti che nel Belpaese ce li sogniamo. Anche gli azzurri sono ingloriosamente usciti dal mondiale, scatenando una cagnara mediatica sul presunto fallimento del calcio italiano a cui, nei giorni scorsi, abbiamo preferito non partecipare, forse perché i coretti ci piace farli solo allo stadio. Ma a differenza della Francia, al nostro presidente federale, Giancarlo Abete, non è passato neppure per l’anticamera del cervello di dimettersi, o perlomeno di annunciare delle dimissioni che magari poi sarebbero rientrate (a volte può bastare un gesto per segnare una discontinuità). Abete invece ha lasciato intendere di non ritenersi direttamente responsabile della "disfatta".

Quattro anni fa però non ci pensò due volte a prendersi i meriti dell’Italia mondiale. In più, a differenza della Francia, il nostro Paese è stato superato anche da Polonia e Ucraina nella organizzazione di Euro 2012.

L’atteggiamento di Abete è paradigmatico della condizione in cui versa l’Italia. Si viene sconfitti ma si resta al proprio posto, attaccati alla poltrona. Non vogliamo generalizzare o cadere nel populismo, ma ci sembra di poter dire che un atteggiamento simile non si ferma al pallone ma è un modus operandi della sfera politica come di quella economica (o perlomeno di una certa economia dopata).

L’Italia del pallone, insomma, o per meglio dire l’Italia nel pallone. Tanto più che se addiritura Marcello Lippi, e sappiamo che caratteraccio ha, alla fine ha accettato di prendersi le proprie colpe, allora non si capisce perché niente debba muoversi ai piani alti del calcio (della politica, del giornalismo, del mondo universitario…) italiano. In caso contrario iniziamo a cospargerci il capo di cenere gridando “Allez le blues”.