All’Italia è mancato un grande scrittore che raccontasse lo “Spirito del tempo”
24 Gennaio 2010
di Daniela Coli
L’anniversario della morte di Albert Camus ha fatto riparlare dello scrittore di origine algerina, sottolineandone le differenze con Sartre, anche se Lo straniero fa immediatamente pensare al Sartre della Nausea. Il Sartre non ancora marxista, che descrive la nullità dell’esistenza di Antoine Roquetin, chiuso in biblioteca per una ricerca su un libertino del ‘700. In crisi d’ amore, per paura di vivere il presente, si rifugia nel passato e tenta di ricostruire l’attività erotica di un perfetto sconosciuto. Il piccolo impiegato algerino di Camus compie un delitto assurdo, come l’ex portiere di Peter Handke, che vaga per Vienna, uccide senza motivo una ragazza, poi si sente braccato e spiato, come un portiere prima del calcio di rigore. Questi romanzi evocano la solitudine e l’angoscia individuale nella società contemporanea e oggi sono ancora più attuali.
Di fronte alla ricchezza della letteratura francese del ‘900 che ha autori come Marcel Proust, André Maulraux, Paul Valery, Louis Ferdinand Céline, Albert Camus, Simone de Beauvoir, Marguerite Yourcenar, Marguerite Duras, s’impone una riflessione ai cugini italiani. Gli scrittori francesi appena citati sono diversissimi, come diverse sono le tematiche affrontate; ebbero posizioni politiche diverse, ma valgono per se stessi. Anche quando parlano della condizione femminile come la de Beauvoir o sono antisemiti viscerali come Céline, sostenitore di Hitler, non furono mai intellettuali organici di alcun potere. Certo, Sartre divenne marxista, fu un grande guru, ma ebbe un avversario del calibro di Aron e, soprattutto, il successo di Sartre non impedì quello di filosofi come Foucault, tutt’altro che marxista, o di Derrida, divenuti star negli Stati Uniti. Alberto Asor Rosa nella recente intervista con Simonetta Fiori, intitolata Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali, sostiene che ciò che distingue l’intellettuale moderno dal savant, che lavora per conto proprio, è fare parte di un gruppo con un programma politico. Bene, nel ‘900, i francesi, anche quando sostengono una causa, non diventano intellettuali organici di un gruppo di potere. Per questo, può avere spazio un Foucault, che in Italia non avrebbe probabilmente trovato una casa editrice pronta a pubblicarlo.
Dopo il ’45, cominciano in Francia delle nuove stagioni e nell’immediato dopoguerra è l’esistenzialismo a caratterizzare letteratura, filosofia, cinema, teatro. Nel nostro neorealismo di problematiche esistenziali non c’è traccia. Gli italiani in letteratura e al cinema non si mettono in gioco in prima persona come i francesi. Gli scrittori esordiscono quasi tutti con un racconto resistenziale. Se si eccettua la Dolce vita ( 1960) di Fellini, con Mastroianni, che finisce a fare il giornalista gossipparo nella Roma cinematografara, rinunciando a fare lo scrittore, nessuno racconta l’Italia reale. Fellini coglie efficacemente il passaggio storico dall’Italia contadina e ingenua, che va in processione, come in un film di Olmi, a vedere l’apparizione di una Madonna, all’Italia modernizzata in fretta, caotica, confusa, rappresentata da Mastroianni. L’esistenzialismo felliniano è concentrato nel suicidio di Steiner, l’uomo che Mastroianni vorrebbe diventare. A parte la Dolce Vita, gli italiani non si raccontano: preferiscono porsi come avanguardie politiche di proletari da riscattare.
La nostra cultura ha prodotto tanta saggistica, tanta letteratura di denuncia da Sciascia e Saviano, ma da essa non è emerso un grande scrittore capace di cogliere lo spirito del tempo. Umberto Eco ha scritto un romanzo storico ambientato nel Medioevo e Tomasi di Lampedusa ha scritto del Risorgimento in Sicilia. Nell’Ottocento abbiamo avuto I Promessi Sposi di Manzoni, un romanzo storico ambientato nel ‘600, e non Madame Bovary come la Francia con Flaubert. Abbiamo Verga e Mastro Don Gesualdo e non Guy de Maupassant e Bel Ami. Non abbiamo una avuto una grande borghesia solida e organizzata come la Francia nell’Ottocento, il passaggio da paese agricolo a industriale è avvenuto tumultuosamente e caoticamente, dopo la guerra, e questo ha lasciato tracce. C’è un’Italia che ricostruisce e si diverte con Pane, amore e fantasia, e poi si appassionerà con Lascia e raddoppia, un telequiz che offre anche la possibilità di guadagnare un po’ di soldi,ma quest’Italia agli intellettuali non piace. Se le illusioni di una casalinga infelice erano state il soggetto del capolavoro di Flaubert, da noi gli scrittori hanno bisogno della denuncia sociale. Accattone di Pasolini, un film del ’62, riprende romanzi come Ragazzi di vita e Una vita violenta e descrive un ragazzo delle borgate che sopravvive facendo il magnaccia. Descrive lande aride e deserte come l’Afghanistan, mentre l’Italia andava già in Cinquecento.
Pasolini è omosessuale e si parla spesso di un Pasolini perseguitato dall’Italia bacchettona, senza considerare che Alan Turing, il padre del computer, che aveva contribuito alla vittoria della Gran Bretagna decriptando i codici segreti tedeschi, fu processato per omosessualità e condannato alla castrazione chimica nella protestante Inghilterra degli anni ’50. La protesta antindustriale e antitecnologica (la scomparsa delle lucciole è un tema forte pasoliniano) è un argomento tipico dell’epoca e ricorda un po’ la reazione degli scrittori dell’Inghilterra ottocentesca di fronte all’industrializzazione. Diversamente dagli inglesi, che parlano di Londra rovinata dalle ciminiere delle fabbriche, Milano e il Nord industrializzato sono assenti dalla letteratura. Il Sud e la Sicilia sono invece onnipresenti e sembrano l’inferno, dove regna solo mafia e camorra. Dal Gattopardo ai racconti di Sciascia, a Gomorra di Saviano, il Sud viene presentato come una realtà antropologicamente diversa dal resto della penisola e dell’Europa. Inutile raccontare ai cultori del Sud infernale che alla Toscana spiacque vedere partire i Lorena o che il lavoro nero è diffuso anche fuori dalla Campania di Saviano.
Non esiste letteratura e cinema in Europa dove una parte di una nazione venga descritta come l’inferno, a parte l’Irlanda del Nord. Da letteratura e cinema la violenza di mafia e camorra sembra quella dell’Iraq: fucilate, stragi, esplosivo. L’ultima scena di Gomorra, tratto dal romanzo di Saviano, ricorda alcune scene del Padrino in Nevada. Così la Piovra andata in onda dal 1984 al 2001 ha parecchie assonanze col Padrino, uscito nel 1972, nel 1974 e nel 1990. Le ultime serie della Piovra, che anticipano l’accusa ad Andreotti di capo della Cupola e denunciano anche loschi imprenditori del Nord, sono riprese dal Padrino III, dove in modo pasticciato Andreotti era presentato come il capo della mafia, responsabile perfino della morte di papa Luciani. Per questo un confronto con la letteratura francese potrebbe essere utile ai nostri scrittori sotto scorta. E se approfittassimo dell’anniversario della morte di Camus per una full immersion nella letteratura francese, per uscire dalla foresta, come diceva Cartesio, in cui i nostri amati scrittori ci hanno cacciati?