All’Italia serve una Grande Rivoluzione per diventare un paese normale
21 Giugno 2008
di Daniela Coli
Piero Ostellino è uno dei commentatori politici più seri e onesti e chi ha letto il suo editoriale di mercoledì 18 giugno sul Corriere non può che ammirare la chiarezza con cui affronta il problema dell’opposizione al IV governo Berlusconi. L’editoriale di Ostellino dovrebbe essere tradotto in inglese per fare comprendere al mondo l’anomalia italiana. Ostellino invita l’opposizione non a criminalizzare il capo del governo per annullare il risultato delle elezioni. Ostellino chiede all’opposizione di essere “responsabile”, una “forza riformista”, di abbandonare “le pulsioni rivoluzionarie”, perché – lo cito quasi letteralmente – in una democrazia se non si è capaci di fare la rivoluzione e cacciare con la forza l’“usurpatore” si perde credibilità. E’ difficile non concordare con Ostellino, anche se c’è un problema nella sua argomentazione, a lui certamente chiaro, che allarmerebbe qualsiasi democratico inglese o americano, non importa se tory, labour, repubblicano o democratico. Il problema è che nella democrazia inglese e americana, nessuno – tory o labour, repubblicano o democratico – pensa neppure per un minuto di fare la rivoluzione e questo, come Ostellino sa bene, è il problema italiano. La nostra democrazia è nata fragile ed esposta a tutte le pulsioni rivoluzionarie, perché una delle forze politiche che ha maggiormente contribuito alla sua fondazione e alla scrittura della carta costituzionale intendeva superare la democrazia stile britannico e americano, perché il suo modello era l’Unione Sovietica. Da qui è nato tutto il frasario dell’“opposizione riformista”, del dialogo – chiamato anche compromesso storico a un certo punto – della legittimazione e delegittimazione dell’avversario con tutta la creatività per cui siamo famosi. Il problema dell’anomalia italiana rimanda alla necessità sostenuta qualche giorno fa da Gaetano Quagliariello in risposta a un articolo di Fausto Bertinotti di affrontare i nodi storici e politici della nostra democrazia.
Ora, la grande anomalia della nostra democrazia è di non essere nata come in Inghilterra e Stati Uniti da una durissima guerra civile combattuta dall’intero popolo, spaccato a metà, per decidere la forma dello stato. In Italia, nonostante tutte le grandi discussioni se fu Resistenza o guerra civile, non vi è stata una guerra civile come quella inglese o americana combattuta solo da inglesi e americani. La democrazia non è stata il risultato indiscutibile di uno scontro militare e politico di tutto un popolo, per il quale, alla fine, chi ha vinto non ha eliminato gli avversari, perché essi erano l’altra metà del paese e non si poteva emarginarli dalla vita politica di un sistema fondato sul parlamento. In Inghilterra, vincitori e vinti non hanno mai messo in discussione il sistema, perché finita la guerra civile, si è aperto un nuovo capitolo, nel quale agli avversari non è mai stato dato l’ostracismo, come nelle democrazie antiche, dove soltanto dopo molti anni si concedeva l’amnistia, il ritorno in patria. Nelle democrazie moderne non si dà l’ostracismo e non c’è bisogno di amnistie, come in quella antica. Hume inorridiva pensando ad Atene dove si dava l’ostracismo, era fiero di essere inglese e non un abitante di qualche staterello del Mediterraneo, dove poteva accadere di tutto. La democrazia inglese non è nata perché gli inglesi hanno perso una guerra e qualcuno ha chiesto loro di cambiare sistema politico, né gli inglesi si sarebbero mai alleati a un esercito straniero per ammazzarsi come fecero abbondantemente, perché erano già una nazione con le idee chiare. Gli inglesi non fecero la guerra civile, conclusasi alla fine con una rivoluzione politica – gloriosa perché pacifica e desiderata da entrambe le parti – per fare un’altra rivoluzione. La rivoluzione l’avevano già fatta, ne erano fieri, non avevano più “pulsioni rivoluzionarie”.
L’Italia è nata come è nata, all’insegna dell’improvvisazione e questa improvvisazione l’ha scontata crudelmente, procedendo come una barchetta alla mercé di tutti i venti: da qui le pulsioni di ogni tipo e la difficoltà per le classi politiche di capire cosa significhi davvero sovranità e quali siano i compiti del potere giudiziario, che non può mai contrapporsi a quello legislativo in una democrazia. Proprio per questi limiti, i politici italiani sono stati trattati come camerieri e stallieri da utilizzare e gettare da chi ha il potere di fare e disfare gli italiani. Per questo in Italia basta una campagna stampa per fare cadere un governo e, a volte anche meno, un avviso giudiziario pubblicato dal grande quotidiano nazionale. Il problema principale di Veltroni non è diverso da quello di Berlusconi, perché se la politica italiana non riesce a fare la sua gloriosa rivoluzione qualsiasi governo, di destra o di sinistra, sarà sempre sull’orlo del naufragio come la navicella Italia. Per questo, come ha scritto Gaetano Quagliariello rivolgendosi a Bertinotti, occorre una discussione seria e franca sulla nostra democrazia. È anche importante chiarire che non siamo negli anni Venti o negli anni Trenta: non si è appena conclusa la rivoluzione bolscevica, non c’è un Lenin – la sinistra lo sa – e non c’è un Mussolini che tenta una terza via – la destra lo sa. Vogliamo diventare un paese normale, come vuole Veltroni e come voleva anche D’Alema. Per averlo occorrono uomini e donne disposti a fare la gloriosa rivoluzione italiana.