
Altro che compiti a casa: l’Italia si ricordi del Mediterraneo

24 Settembre 2012
di Daniela Coli
Siamo immersi in un lungo 25 luglio, come ha scritto Piero Ostellino (Corriere della Sera, 15 settembre), e non sappiamo come ne uscirà l’Italia. L’espressione di Ostellino è adeguata alla situazione, perché, anche se la politica estera è quasi scomparsa dai nostri media, noi siamo in mezzo alla guerra, pur facendo di tutto per non parlarne.
Siamo dentro una grave crisi economica e l’Italia sta tentando di tagliare l’enorme debito accumulato dagli anni ’70 (si veda alla voce “spesa delle regioni”) con una nuova Tangentopoli, da cui non uscirà alcuna nuova classe politica, come non è uscita dalla precedente Tangentopoli: sono uscite coalizioni formate da spezzoni dei partiti distrutti da Mani Pulite, litigiose e incapaci di governare. L’Italia post-Tangentopoli, quella di questi vent’anni, non ha avuto una politica estera (ultimamente ci hanno raccontato delle manine della Cia in Clean Hands, perché Andreotti e Craxi si erano allargati troppo nel Mediterraneo) e, quando nel 2008 ha firmato un trattato di amicizia e cooperazione con la Libia, abbiamo visto cos’è accaduto nell’estate del 2011.
Americani e inglesi non andrebbero mai a disturbare i francesi nei loro dominions in Africa, perché la Francia ha un ottimo esercito e un’ottima intelligence, né hanno applicato la no fly zone alla Siria, dopo il veto di Russia e Cina. Questo ci dice quanto sia debole l’Italia in questo lungo 25 luglio.
Gli italiani, ormai, considerano i politici ladri, e non senza ragione, e Monti come il salvatore della patria, ma Monti pensa di risolvere tutti i nostri problemi con le tasse e l’Ue, è l’uomo di Bruxelles e di Obama (come lo sarebbe di Romney) e segue le direttive Ue, che non ha una politica estera. Il ragazzone Renzi dice di volere un esercito europeo, ma nell’eurozona ognuno fa i propri interessi. Pochi si sono accorti che la politica estera americana sta fallendo: non solo in Afghanistan, dove i talibans attaccano basi Nato con divise e armi americane, ma anche in Medio Oriente. L’uccisione dell’ambasciatore Stevens a Bengasi, gli attacchi alle ambasciate americane in tutto il Medio Oriente, compresi Pakistan e Afghanistan, il rogo delle bandiere americane e dei ritratti di Obama, non sono il risultato del fantomatico video antislamico postato su Youtube, ma l’espressione del desiderio degli arabi di riappropriarsi del Mediterraneo, il mare che condividono con noi.
Né Bush, né Obama hanno capito che essere democratici non significa necessariamente sostenere gli interessi americani. Hillary Clinton si è stupita di Bengasi e Obama ha detto di non sapere più se Morsi è un alleato. Morsi, PhD in ingegneria alla Southern California, nel cuore di Los Angeles, dove ha insegnato, con due figli nati negli Stati Uniti, è certamente un democratico, ma è egiziano, fa gli interessi degli egiziani e il primo viaggio da premier l’ha fatto in Cina. E a Beijing ha fatto affari: l’Egitto sta per concludere con la Cina un accordo per il quale la Cina svilupperà una grande zona industriale vicino al canale di Suez: i cinesi metteranno capitali e tecnologia, in cambio avranno agevolazioni commerciali per i prodotti cinesi e una base marittima per l’export cinese. Gli egiziani avranno posti di lavoro. Se gli Stati Uniti minacciano Il Cairo d’interrompere gli aiuti – lo hanno fatto quando gli egiziani lo scorso dicembre arrestarono attivisti delle ong americane di McCain e di Madeleine Albright, l’International Republican Institute e il National Democratic Institute –, gli egiziani vanno a Beijing. D’altronde, senza la Cina, il dollaro sarebbe carta stampata. Come l’Egitto, possono fare i paesi delle Arab Spring.
In Italia non ci siamo accorti che mentre la Francia bombardava la Libia con la Nato, in Costa d’Avorio ha realizzato, con la complicità di Obama e dell’Ue, un sanguinoso regime change non avendo gradito che il presidente Gbagbo avesse aperto l’economia a Cina e Russia e volesse creare una moneta ivoriana al posto del franco africano. Al posto di Gbagbo, fatto passare dai media occidentali per il solito tiranno criminale, è stato messo il fantoccio Quattara. La Costa d’Avorio, vincolata dalla costituzione a vendere i suoi prodotti alla Francia, è in pratica una colonia francese ed è anche grazie alle ex colonie africane che la Francia non ha problemi di spread e i francesi fanno ancora la bella vita. I paesi delle Arab Spring (a parte la Libia contro cui è stata scatenata una guerra) si sono sollevati spontaneamente contro leader filoccidentali come Mubarak (diventati improvvisamente dittatori per gli americani e la Nato, che per decenni li avevano considerati alleati), e, sebbene Obama abbia tentato di mettere il cappello sulle Arab Spring, non sono filoamericani: non hanno buttato giù Mubarak per non essere padroni a casa propria, ma per gestire le proprie risorse e aprire le porte dell’economia ai paesi che offrono loro le migliori condizioni. Sono paesi che hanno subito il colonialismo e non vogliono più padroni.
Gli arabi usano la religione come un’ideologia, come collante identitario, per liberarsi dagli stranieri e sviluppare le loro economie e società. In Costa d’Avorio, il maggior produttore di cacao al mondo, non c’è una fabbrica di cioccolato e gli ivoriani non possono comprare cioccolato (quello in vendita è tutto straniero), perché costa troppo per loro. I loro economisti, intellettuali, scienziati educati negli Stati Uniti e in Europa hanno capito da noi cosa significhi indipendenza, libertà, democrazia e vorrebbero poter sviluppare l’economia del loro paese. L’Africa, come il Medio Oriente, hanno bisogno di infrastrutture (dighe, strade, autostrade, ospedali), sono ricchi di materie prime e vogliono stabilire accordi con paesi che non li bombardino o impongano con la forza i loro fantocci per costringerli a fare affari solo con loro.
Se gli Stati Uniti e la Nato li minacciano, si rivolgono a Cina e Russia. Come ha scritto Peter Lee su Asia Times online, ciò che è accaduto a Bengasi, l’americana Bengasi, e in Medio Oriente l’11 settembre 2012 è stato solo un messaggio per fare capire agli Stati Uniti e alla Nato la volontà di essere sovrani a casa propria: il video su Maometto è stato solo un pretesto. Se non comprendiamo che le Arab Spring sono state simili alle rivoluzioni del 1848 in Europa, noi perderemo il Mediterraneo, l’unica area d’influenza che ci è rimasta.
L’Ue non ha una politica per il Mediterraneo: la baronessa Ashton è inesistente come ministro degli esteri Ue e fa solo gli interessi inglesi. I francesi fanno i propri, che non sono i nostri, da secoli. Nel XVI secolo Francesco I si alleò con i turchi per attaccare le coste italiane e nel 2011 la Francia non ha esitato a bombardare per prima la Libia, ben sapendo che noi avevamo un trattato di amicizia con i libici. L’Italia è stata trattata come un membro Ue di serie C. Francesi, inglesi e americani si sono buttati sulla Libia, devastandola, e noi abbiamo offerto le basi Nato in Italia. Così come inglesi e francesi si buttarono sull’Egitto e sull’Italia durante il periodo napoleonico e alcune città italiane gli aprirono le porte. Purtroppo, il Mediterraneo non interessa a Monti: vuole essere l’uomo di Bruxelles e di Obama o di Romney, se vince le elezioni, e fare i compiti a casa. L’Italia ha invece bisogno di ricordarsi di essere nel Mediterraneo e di ritrovare nel Mediterraneo un nuovo inizio.