Altro che euroscetticismo: il vero problema è l’europaranoia
17 Gennaio 2012
Non passa giorno senza che sui giornali di tutta Europa non si venga obbligati – in tempi di crisi del debito sovrano, di crisi istituzionale europea, di recessione e di rigorismo in finanza pubblica – a dover leggere e ascoltare analisi e commenti su come uscire dall’impasse, su come cooperare recuperando alla radice il senso profondo dell’esperimento integrativo europeo in moto ormai dal 1957. Cooperare per fare in modo che Europa risorga “più bella e più grande che pria”, tanto per scomodare l’esilarante Petrolini.
Altro che cooperazione: i leader europei non riescono neanche ad incontrarsi. Eh sì, perché il prossimo 20 Gennaio doveva essere la data del secondo incontro a tre dopo quello del Novembre scorso a Strasburgo tra Merkel, Monti e Sarkozy, e invece niente. Dopo il declassamento da parte di Standard &Poor’s del debito francese e perdita della tripla A, all’Eliseo devono essere stati furiosi. Tanto da non confermare per la data prevista.
Di fatto invece di cooperare, di chiudersi a chiave in una stanza attorno a un tavolo fintantoché non emerga una soluzione da opporre ai guai europei, i leader nazionali d’Europa (degli eurocrati di Bruxelles alla Barroso e Van Rompuy non si dica, stanno lì in attesa d’accaparrarsi più potere a scapito delle nazioni europee in affanno), sembrano intrappolati nella sindrome (molto europea, troppo europea) del complotto.
Ciò è sempre più evidente da quando Silvio Berlusconi non siede più a Palazzo Chigi e il governo di Roma non è più considerato mediaticamente e politicamente appestato e può così giocare un qualche ruolo dentro e fuori il direttorio franco-tedesco.
Infatti, nell’equazione che sta determinando i nuovi equilibri di potere in Europa tanto nelle relazioni tra le nazioni del continente quanto nelle relazioni tra nazioni e istituzioni comunitarie, l’inserimento della variabile “Monti” sfugge sempre più al controllo di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel e ciò più di quanto il due capi di Stato e di governo siano disponibili ad ammettere in pubblico.
Partendo dallo scorso 13 Gennaio quando Standard & Poor’s ha declassato il debito pubblico della Francia, abbassandone il rating dalla tripla A alla doppia AA, passando per le mosse sulla tassazione delle transazioni finanziarie iniziate lo scorso Dicembre 2011, fino alle paure ataviche della periferia d’Europa (da opporre al cuore europeo, se di cuore si tratta, fatto da Francia e Germania, due paesi che negli ultimi due secoli hanno prodotto due tentativi egemonici manu militari prima con Napoleone Bonaparte e poi con Adolf Hitler), ogni governo europeo sente la necessità di difendersi dal rischio ‘diminuzione potere relativo’, nella forse infondata convinzione che in queste settimane e mesi si giochi la partita per la sopravvivenza.
Ogni nazione sembra avere il suo teorema da spendere. La Francia di Nicolas Sarkozy non vuole lasciare che la Germania –timore questo già dell’ultimo Presidente francese con la “P” maiuscola François Mitterand – egemonizzi il resto dell’Europa e con essa l’Esagono stesso, e teme che l’Italia di Monti (che la Francia percepisce come creatura merkeliana) stia agendo con i tedeschi per indebolire proprio Parigi.
La Germania di Angela Merkel teme che Monti e Sarkozy facciano fronte comune per imporre a Berlino maggiori esborsi finanziari e politici in considerazione della ‘presunta’ convergenza franco-italiana sul ruolo maggiore da far assumere alla Bce, sull’europeizzazione del debito sovrano alias eurobond e su un maggiore conferimento tedesco al Financial Stability Mechanism (il maxi fondo di stabilizzazione europeo) di fronte alle fragilità della moneta unica europea.
L’Inghilterra di David Cameron sembra essersi incastrata nella molto vecchia sindrome anti-continentale in base alla quale il regno di Sua Maestà Elisabetta II starebbe ricadendo preda delle mire egemoniche di Francia e Germania le quali, via Bruxelles, cercano ancora oggi di danneggiare la ‘perfida Albione’: ne sia prova, pensano al 10 di Downing Street, il tentativo di colpire l’unico settore ancora vibrante dell’economia insulare britannica – la finanza – con la battaglia un po’ elettoralistica che Sarkozy e Merkel stanno conducendo dentro e fuori l’UE per una tassa alla Tobin sulle transazioni finanziarie europee.
L’Italia, priva di un governo politico, protegge le banche italiane, gioca tra gli spazi del direttorio ma in ultima istanza gioca di sponda con Bruxelles perché, finita questa crisi, il pilastro comunitario emerga maggiormente rafforzato. I paesi dell’Europa dell’Est stanno a guardare: in Polonia riemerge il timore di finire nella morsa dell’accerchiamento (a Est la pluri-secolare minaccia russa e a Ovest la Germania). Il governo di Varsavia deve considerare che, Inghilterra a parte (col cui governo conservatore comunque il governo liberale Tusk non pare andare proprio a braccetto), l’unico partner storicamente affidabile si trovi ormai oltre-Atlantico: gli Stati Uniti.
In Ungheria il partito ultra-nazionalista Jobbik lo scorso 14 Gennaio è sceso in piazza, con un seguito di migliaia di persone, e durante le manifestazioni bandiere europee sono state date alle fiamme.
La periferia Sud dell’Europa è politicamente alla deriva e senza iniziativa politica. La Spagna del neo-governo popolare di Mariano Rajoy ha immediatamente ridotto il deficit centrale, ha schivato l’ultimo declassamento dello scorso 13 Gennaio, ma appare isolata sul piano delle alleanze europee (Roma potrebbe costruire un fronte mediterraneo proprio con Madrid ma d’iniziative politiche in questo senso non ve ne sono e forse non possono esservene senza un governo eletto anche in Italia).
“Das ist Europa, leute!” Quest’è l’Europa gente, direbbero i tedeschi. Mesto spettacolo ma è quello che emerge in questi giorni di recessione. L’Europa che credeva di aver imboccato la strada senza ritorno dell’unione economica e dunque politica, che credeva di aver innescato, più di cinquanta anni fa, il processo d’abbandono della Nazione, si ritrova oggi, ancora una volta, dentro gli atavici pregiudizi nazionalistici.
Piaccia o meno, l’asettico interesse delle nazioni europee a non muoversi guerra, quell’unico minimo comun denominatore universalmente riconosciuto come operante nell’odierna Europa, si sta dimostrando tragicamente insufficiente e oltremodo fragile.