Altro che incentivi. Per sopravvivere Fiat dovrebbe andarsene dall’Italia

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Altro che incentivi. Per sopravvivere Fiat dovrebbe andarsene dall’Italia

29 Marzo 2010

Un’anticipazione – ben presto smentita – del piano che la Fiat si è impegnata a presentare il 21 aprile con riguardo alle prospettive del gruppo, ha suscitato molte polemiche da parte dei sindacati (che temono la perdita di migliaia di posti di lavoro) e le preoccupazioni del Governo.

In sostanza, ancora una volta il gruppo già torinese è destinato a non essere compreso dal "sistema Italia" che  nutre nei suoi confronti un mix di  amore e odio. Mentre il primo sentimento si è espresso nel tempo attraverso il riconoscimento di erogazioni di denaro pubblico, quando la situazione lo permetteva, il secondo è emerso nei momenti di difficoltà, allorché l’azienda ha dovuto affrontare sfide difficili che ne mettevano in discussione le prospettive. Anche nel 1980 la Fiat dovette affrontare da sola l’ostinazione dei sindacati a salvaguardare gli assetti esistenti. E vincere da sola una battaglia decisiva. Questa volta, almeno, il Governo e le forze migliori del sindacato sembrano aver compreso l’insostenibilità di una difesa ad oltranza dello stabilimento di Termini Imprese e chiedono – come è giusto – alla Fiat (la quale si avventura nell’operazione – assai rischiosa – di spostare delle produzioni, ora svolte in Polonia, a Pomigliano d’Arco) di concorrere nella ricerca di alternative.

L’establishment, tuttavia, si rifiuta di accettare (o non può permetterselo per motivi di consenso) quella che è una conseguenza logica delle scelte strategiche del gruppo: la Fiat potrà candidarsi a rimanere uno dei pochi produttori mondiali di automobili destinati a sopravvivere se allargherà la sua presenza nelle aree strategiche del mondo, ben oltre i tradizionali insediamenti in Italia, a Torino e nel cuore della vecchia Europa. La scelta Usa risponde ad una logica di internazionalizzazione e di riequilibrio da cui il gruppo non può prescindere se vuole conquistare sempre più un ruolo di protagonista sui mercati mondiali.

Ma non vi sarà, nel medio termine almeno, una fuga della Fiat dall’Italia. I dati sull’occupazione (al 31.12.2009) dimostrano, in un sol colpo d’occhio, che, nonostante le trasformazioni intervenute, il gruppo (che non produce solo automobili)  ha ancora robuste presenze nel nostro Paese, mentre si rende indispensabile una strategia di riposizionamento.  La Fiat ha 190.014 dipendenti di cui meno della metà (80.434) in Italia. Nel settore auto, tuttavia, sono 34.600 i dipendenti italiani a fronte di un totale, nel mondo, di 57.596. Per quanto riguarda gli altri settori, in Italia vi sono 4.597 lavoratori occupati nelle macchine per l’agricoltura e costruzioni contro un totale di 28.466; 9.023 nei veicoli industriali a fronte di 24.917; 25.478 contro 69.168 nella componentistica; 6.736 contro 9.867 nelle altre attività.   

In Italia, limitatamente alle più importanti concentrazioni, vi sono 33.289 occupati in Piemonte (di cui 32.561 a Torino e provincia), 7.439 in Lombardia, 7.174 in Emilia Romagna, 10.054 in Campania e 6.154 in Basilicata.  Raggruppando gli stabilimenti di Sud e Isole si arriva a 29.567 dipendenti. Per quanto riguarda l’andamento degli organici, nell’<anno orribile> del 2009 la diminuzione dell’occupazione, rispetto al 31.12. 2008, è stata del 4,2% nel complesso del mondo e del 2,4% in Italia (a fronte di un calo del 3,5% nelle grandi imprese industriali). E’ bene, allora, che il confronto del prossimo 21 aprile  cominci con un po’ di equilibrio.