Altro che Moody’s, ecco qual è il vero problema delle banche italiane

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Altro che Moody’s, ecco qual è il vero problema delle banche italiane

07 Maggio 2010

Quattro considerazioni non richieste su banche, politica e indipendenza. Sentire accorati appelli perché la politica resti lontana dalle banche avrebbe del comico, se non fosse preoccupante.

Prima riflessione: da che pulpito viene la predica? Chi lancia questo tipo di moniti severi il più delle volte tesse fitte trame e colleziona relazioni di potere manco fossero cartoline Panini. Bazoli, Guzzetti, Salza, Palenzona e compagnia bella incarnano senza mezzi termini il modello del banchiere all’italiana, del detentore di potere capace di condizionare – ricattare? –  il potere politico. Spesso questo tipo di figura proviene dalla politica e fa quello che facevano i politici di una volta. Ossia creare legami con il territorio, distribuire poltrone e prebende, coccolare i mezzi d’informazione, creare posti di lavoro e dunque muovere masse di elettori. In un’epoca in cui i parlamentari radicati sul territorio si contano sulle dita di una mano monca, i banchieri dall’agenda spessa hanno un potere impressionante. Sono in grado di determinare le sorti dell’agone politico senza grosso sforzo. E ciò sia spostando voti in occasione di tornate elettorali, sia concedendo o revocando finanziamenti a opere di pubblico interesse. Il banchiere di oggi è il politico di ieri, poche storie!

Seconda riflessione: il rapporto stretto tra finanza e politica è una costante universale. Queste colonne non si erano scandalizzate anni fa, quando un famoso esponente del PD chiedeva a un suo finanziere: “Abbiamo una banca? ”.  Proprio perché il potere del mondo finanziario è così esteso, è naturale che il potere politico abbia un immediato interesse a strumentalizzarlo o addirittura controllarlo. Possedere una banca è molto meglio che essere amico di una banca. Consente infatti di sottrarsi al micidiale meccanismo dello scambio, ai favori e alle contropartite che contraddistinguono le vicende parlamentari e governative. A leggere queste parole, forse, ci si può inquietare. Si può credere che il sistema italiano sia un intrico incestuoso. Forse. Ma se si guarda a quanto avviene all’estero, le cose non sono poi tanto diverse. La finanza è spesso considerata un “grande azionista” della politica. Obama è additato da sempre come burattino delle lobby di Wall Street. Blair una volta in pensione lavora per JP Morgan. L’elenco, ve lo assicuro, è lunghissimo.

Terza riflessione: siamo certi che la politica non abbia niente da dire alle banche, anziché il contrario? A forza di leggere i giornali italiani (i più grossi sono controllati dalle banche, remember?) si perde di vista un dato essenziale. E cioè che l’intero sistema finanziario si basa su scelte politiche. Le norme che definiscono il quadro regolamentare in cui si muovono e fanno fortuna i finanzieri sono definite dalla politica. Nel caso dell’Italia, è la politica che ha creato a metà degli anni ’90 del secolo scorso l’assetto delle fondazioni bancarie. E sarebbe ipocrita sostenere che la politica debba restarne fuori. Nel caso di Intesa San Paolo, la politica (locale) ha precisi diritti, sanciti nei vari statuti, di esprimere le proprie posizioni, difenderle e, se possibile, prevalere.

Quarta riflessione. Ipotizziamo per assurdo che quanto detto fin qui sia completamente sbagliato. Assumiamo cioè che la politica debba restare nel chiuso delle sedi istituzionali che le competono. Anche se così fosse – e così non è – in qualsiasi società non esiste che il management si scelga l’azionista. Avviene il contrario: l’azionista nomina un consiglio di amministrazione, e questo sceglie i manager e ne valuta con una certa periodicità l’operato. In Italia è avvenuto un paradosso: sono i manager (Profumo, Passera, ecc ecc.) a scegliersi l’azionista. Lo fanno utilizzando sapientemente i mezzi di comunicazione e il potere di condizionamento sulla politica. Ebbene, tutto ciò è assolutamente anomalo. Ma non impossibile. Può avvenire e sta avvenendo. Ma non dateci a bere che sia normale!