Alzare (ancor più) il tiro contro l’oligopolio di Moody’s&co. è cosa buona e giusta
08 Febbraio 2012
La guerra aperta che l’Europa ha lanciato contro le agenzie di rating è finalmente passata dalle parole ai fatti. Dopo essere stato travolto da una ondata di svalutazioni da parte dal tripolio S&P, Moody’s e Fitch, che ha colpito sia i debiti sovrani che le principali banche, il vecchio continente ha deciso che ne ha avuto abbastanza di lasciare la valutazione delle proprie politiche economiche ai poteri forti che governano, con un conflitto d’interessi di dimensioni planetarie, le società finanziarie in questione. Ed è così passata al contrattacco.
E’ notizia delle ultime ore, infatti, che l’Europarlamento sarà chiamato a discutere, entro la fine di questo mese, la proposta dell’europarlamentare italiano Leonardo Domenici, del gruppo socialisti e democratici, in veste di relatore sulle proposte della Commissione europea, relativa al divieto per le agenzie di rating di rilasciare qualsiasi forma di valutazione sul debito di uno stato sovrano, se questi non lo richiede. Inoltre, Strasburgo sta pensando alla possibilità concreta di creare una authority europea, indipendente dai governi, che si pronunci sulla capacità degli stati membri di far fronte ai propri impegni di natura finanziaria. La creazione di questa autorità farebbe cadere la proposta di creare una agenzia di rating europea, ma consentirebbe, in ogni caso, di raggiungere l’obiettivo di dotare l’Europa di una forte e credibile istituzione in grado di contrapporsi allo strapotere, finora dimostrato, della finanza privata.
Come interpretare questo improvviso aumento di attenzione verso le problematiche della valutazione del debito? Sicuramente in maniera positiva. Forse in ritardo, sicuramente a seguito delle drammatiche vicende che i mercati finanziari hanno vissuto negli ultimi mesi, l’Europa ha semplicemente deciso che è ora di far dipendere il comportamento dei finanzieri dalla volontà della politica e non quello della politica dai finanzieri, lanciando una controffensiva contro delle agenzie di rating che hanno fallito completamente nel compito a loro assegnato, quello di valutare in maniera imparziale e distaccata i bilanci e le economie di stati ed imprese. Troppi gli errori, troppe le coincidenze tra annunci rilasciati e reazioni eccessive dei mercati finanziari, troppo esagerati gli evidenti conflitti di interessi che si annidano dietro ai fondi comuni di investimento, hedge funds, fondi pensione che queste agenzie governano che, guarda caso, fanno quasi sempre riferimento ai poteri forti della finanza americana.
Qualche economista sosterrà sicuramente che le agenzie di rating si limitano solamente a certificare delle situazioni che i mercati finanziari hanno già scontato e che gli effetti degli annunci e delle svalutazioni sono, di conseguenza, pari a zero. Tutto ciò è falso. Esistono studi empirici che dimostrano due cose. Primo, il prezzo degli strumenti finanziari e degli spread reagisce significativamente nel momento dell’annuncio, dimostrando come l’ipotesi che il mercato abbia già scontato nel prezzo dei titoli l’effetto annuncio sia priva di fondamento. Secondariamente, esiste una asimmetria reattiva del comportamento dei mercati che dipende dal "segno" dell’annuncio.
E’ stato verificato che annunci relativi ad eventi negativi (ad esempio, un downgrading) hanno un impatto molto più significativo sul valore degli strumenti finanziari rispetto a quello che si avvertono in caso di un annuncio relativo ad un evento positivo (ad esempio, un upgrading). Siccome a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca, viene il sospetto che le dichiarazioni rilasciate dalle agenzie di rating, con un timing non sempre del tutto chiaro, possano creare il terreno favorevole per il perseguimento di strategie short, ovvero quelle che permettono un guadagno nel caso il prezzo di uno strumento finanziario diminuisca sostanzialmente. Anche queste evidenze dovrebbero essere portate come prova a favore di una maggiore regolamentazione delle società di rating.