Amanda. Giovane, bella, sola e senza regole

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Amanda. Giovane, bella, sola e senza regole

26 Novembre 2007

L’omicidio di
Perugia, quello di Garlasco, Erika e Omar, i sassi dai ponti dell’autostrada
sono tanti segnali inquietanti di un’epoca, la nostra, la quale ormai è
diventata “anomica” anche nei suoi omicidi.

Come ben sanno i sociologi, il
concetto di “anomia” (alla lettera “mancanza di norme”) venne utilizzato da
Emile Durkheim per designare una società nella quale è sempre più difficile
reperire norme, valori, legami capaci di tenerla unita. Celebri a questo
proposito sono le sue ricerche sul cosiddetto “suicidio anomico”, una sorta di
suicidio senza perché, che ha ovviamente proprio in questa “mancanza di perché”
il suo “perché” più profondo.

Debbo dire che
di fronte a certe tragedie che interessano soprattutto il mondo giovanile mi
sembra che nulla possa illuminarne il senso meglio di quanto faccia questo
concetto di anomia. Prendiamo ad esempio l’omicidio di Perugia. Non appena i
mass media si sono gettati sulla “notizia”, è incominciato a emergere un quadro
per certi versi desolante. Droga, alcool, mancanza di regole, bisogno
spasmodico di autoaffermazione, vite condotte su registri plurimi e tra loro
incomunicanti, quasi che la persona che di giorno studia all’università non sia
la stessa che la sera si “sballa”; per non dire poi del cosiddetto “memoriale”
di Amanda: un esempio di spaesamento metafisico senza eguali, dal quale si
evince che i nostri figli non sarebbero più in grado di raccontare in modo
sensato nemmeno la loro storia di un giorno. Ma la cosa più grave, quella che
deve far riflettere è un’altra.

Rimango basito a sentire i media che ci
raccontano di questi giovani che fino al momento del delitto sembravano “come
tutti gli altri”; è la riprova che evidentemente anche per noi è normale che
vivano come vivono; siamo cioè diventati incapaci di guardarli veramente. Noi e
loro sperimentiamo in questo lo stesso vuoto, la stessa “anomia”; non sappiamo
più chi siamo, né chi vorremmo essere; e questo in una società che, per voler
essere eticamente neutra, finisce per mettere tutti gli stili di vita sullo
stesso piano. E’ un po’ come se a ciascuno venisse detto: arrangiati; la tua
identità te la devi costruire in proprio; autosocializzati. Così, in mancanza
di meglio, in mancanza di uno sguardo che li ami e quindi che li educhi, i
nostri figli fanno davvero da soli: si riprendono con il telefonino, si danno in
questo modo una identità e ne dileguano le immagini nella rete. Il
compiacimento di vedersi è però immediatamente anche la frustrazione di un “io”
che quasi non esiste e che, purtroppo, spesso non sa neanche quello che fa.

(Sergio Belardinelli)