Amministrative, affittopoli e le mani del Pd sulla Capitale

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Amministrative, affittopoli e le mani del Pd sulla Capitale

Amministrative, affittopoli e le mani del Pd sulla Capitale

06 Febbraio 2016

Le amministrative di Roma non sono mai state una elezione di valenza esclusivamente locale. Senza andare nel passato remoto, basterebbe ricordare ciò che ha significato la sfida Rutelli-Fini nel 1994 e che negli ultimi vent’anni, per ben due volte, il candidato per la Presidenza del Consiglio della sinistra è stato, con Rutelli prima e Veltroni poi, il Sindaco di Roma. Un fatto che dovrebbe far riflettere sull’importanza politico-economica che la Capitale ha rivestito per la sinistra in questi ultimi due decenni.

 

L’ennesima “scoperta” dell’allegra gestione del patrimonio immobiliare di questi giorni con le locazioni di favore per personaggi e partiti, se si ha la pazienza di valutarne quantità, proporzioni e vicinanza politica, si rivela una interessante spia del vero e proprio sistema di potere costruito dallo schieramento progressista in città. Istruttiva una passeggiata, da consigliare a chiunque voglia capire, all’interno del dipartimento patrimonio di Roma Capitale con relative immagini del “Che” e citazioni inneggianti allo splendente sol dell’avvenire.

 

D’altra parte solo nell’ultimo ventennio Roma è stata governata per ben 15 anni consecutivi dalla sinistra. Rutelli, Veltroni, due sindacature a testa, e, dulcis in fundo, Marino. Anni in cui, pomposamente, la sinistra ha decantato un modello Roma che, oltre ad essere un forte sistema di relazioni di potere, a nostro avviso, ha contribuito non poco a originare l’attuale condizione del Campidoglio. Certo, il centrodestra non ha avuto la capacità e la forza di invertire la rotta ma è indubbio che quanto trovato nel 2008 era una situazione già fortemente compromessa.

 

Peraltro, in un contesto che, proprio in quegli anni, vede arrivare la crisi economica che stringerà in una morsa drammatica l’eurozona, determinando una serie di pesantissimi tagli lineari a scapito degli enti locali.

 

Assolutamente diverso lo scenario in cui per anni aveva operato la sinistra, inseguendo la chimera di parametrare Roma su Parigi o su Londra, senza tenere conto delle diversità strutturali, storiche e di governance di queste grandi capitali e che ha prodotto un modello di sviluppo, anche infrastrutturale, fuori target, utilizzando in maniera impropria gli ultimi consistenti flussi di risorse di cui la città abbia memoria, risalenti alla legge per Roma Capitale dei primi anni Novanta e al Giubileo del 2000.

 

In quel lasso di tempo prendono corpo quelle progettualità che, nel bene e nel male, hanno ipotecato una parte consistente del futuro di Roma. Pensiamo, ad esempio, a uno dei servizi pubblici ad oggi più deficitari, il trasporto pubblico. Sono di quegli anni gli acquisti multimilionari di mezzi su gomma e ferro le cui performance hanno, troppo spesso, lasciato a desiderare. E’ della fine degli anni Novanta l’utilizzo di quel sistema di bigliettazione integrata che ha prodotto nel tempo voragini economiche multimilionarie con livelli stratosferici di evasione e falsificazione dei biglietti.

 

Sempre di quegli anni è la progettazione e l’avvio di infrastrutture come la metro C che il VII dipartimento, fin dal 1997, aveva indicato dalla realizzazione problematica e che, caso unico al mondo, ci ha regalato una metro di ultima generazione automatizzata, sotto un sedime ferroviario ancora oggi in uso, con frequenze di un treno ogni 8/10 minuti e carichi di utenza risibili, per la modica cifra, ad oggi, di circa 2 miliardi di euro.

 

Potremmo continuare, citando la B1 le mitiche linee J del Giubileo con la loro repentina chiusura per mancanza di utenza o la fallimentare gestione del 110, il bus turistico di Roma a due piani, fino ad arrivare all’acquisto dei tram che non avendo possibilità di ricovero in città sono stati fermi per anni, prima a Colleferro, e poi su traversine improvvisate in alcuni depositi dei mezzi su gomma di Atac o al progetto filobus recentemente estintosi per mancanza di risorse per l’acquisto dei nuovi pacchi batterie.

 

Il laboratorio romano della sinistra, fra le tante corbellerie fatte colpevolmente passare da mass media e poteri di controllo sotto silenzio, ha prodotto un tale sfascio progettuale che per porvi rimedio necessiterà un vero e proprio piano per Roma che abbia la capacità di reimmaginare la città. Perché, in questo quadro desolante, pensare di dare risposte serie alla Capitale sulla base dei soliti interventi economici tampone, vuol dire non aver capito la gravità dell’attuale condizione e ciò di cui ha bisogno Roma, rischiando, in assenza di un progetto complessivo, di rigettare risorse nel classico barile senza fondo.