An trasloca nel PdL ma rivendica la propria identità

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An trasloca nel PdL ma rivendica la propria identità

21 Marzo 2009

Il popolo di An è pronto a fare il grande passo. C’erano tutti, big, delegati e militanti, alla nuova Fiera di Roma che stamattina ha aperto i lavori del terzo Congresso, l’ultimo prima del trasloco nel PdL. Non un traguardo ma una ripartenza che però dovrà avere connotati precisi: organizzazione, struttura e soprattutto regole. Lo ripetono dal palco i big del partito nella lunga giornata di interventi. E non mancano messaggi all’indirizzo degli altri partiti: Forza Italia, ma soprattutto la Lega.

L’ultima bandiera con la fiamma tricolore costa cinque euro. E’ uno dei simboli identitari più gettonati tra la distesa di gadget che raccontano la lunga marcia della destra italiana, dall’isolamento politico degli anni ‘70 fino al quarto governo Berlusconi.

Nello stand di Innocenzo Imperi vecchio sindacalista di destra nella fabbrica "rossissima" di Roma che ora ospita la Ericsson – "in quegli anni noi eravamo tagliati fuori, non ci facevano nemmeno entrare, era durissimo difendere le proprie idee", dice – sono richiestissimi anche i portachiavi d’argento con l’effigie di Almirante  e le cartoline con le tessere di partito, dal Msi ad An. Si avvicina Maria Grazia Caporale, delegata di Catanzaro che cerca disperatamente quella del ’53: "E’ per una signora di 80 anni che le ha tutte meno quella.." dice rivolgendosi a Innocenzo. Lui, che viene da una lunga militanza nel Msi, ha condiviso la svolta di Fiuggi e guarda al Pdl senza nostalgia: "Non rinnegare ma restaurare – dice –  noi abbiamo questo compito nel nuovo partito che è giusto fare". Poi sbotta: "Signorì, so cambiati i tempi, ma chi vuole che se la metta più la camicia nera oggi giorno, forse Bossi che c’ha quella verde… Eppoi anche Almirante diceva che le leggi razziali non andavano bene…". E Fini che piace tanto alla sinistra? "Sì ma a sinistra non lo votano" rimarca Innocenzo che nel leader di An ci crede anche nonostante, come lui stesso racconta, non abbia condiviso tutte le sue scelte, ad esempio quella sul voto agli immigrati. Vincenzo Laurita da Potenza non vuol sentire parlare di musi lunghi: "La nostalgia è sempre quella del domani", dice sorridendo mentre poco più in là Elio da Terni, capelli bianchi ma tempra di ferro, non approva la definizione di "berluscones": "Ma quando mai… noi non abbiamo bisogno di essere sdoganati, noi il diritto all’esistenza ce lo siamo guadagnati sul campo, giorno per giorno. Berlusconi è l’attuale leader del nuovo partito ma in politica bisogna sempre guardare avanti…".

Orgoglio sì, senso di appartenenza, ma c’è anche una sensazione di incertezza per una cosa che si conosce e si lascia per abbracciarne una della quale non si sa granchè. Sono stati d’animo che qui, alla nuova Fiera di Roma attraversano i 1800 delegati chiamati a certificare col voto lo scioglimento di An e il suo passaggio al Popolo delle Libertà. Si leggono nei volti dei vecchi militanti e nelle facce sbarbate delle nuove leve. Lo fa capire Vitaliano, 23 anni quando dice: "Oggi tutto appare ancora sfumato. Andiamo nel partito unico con entusiasmo ma anche con un senso di preoccupazione per quello che sarà il nuovo soggetto politico. Ad esempio noi vorremmo che si costruisse un unico movimento giovanile tenendo ben fermi i principi, la militanza e il radicamento nel territorio che hanno sempre caratterizzato Azione Giovani". Gli fa eco Giuseppe da Bari, 24 anni in politica da quando di anni ne aveva 14: "Noi siamo di Azione Giovani siamo un movimento strutturato, con regole ben precise che mi auguro di ritrovare anche nel Pdl al quale tuttavia aderiamo con convinzione".

Già, valori, identità, regole, decisioni che devono scaturire da un confronto (cioè democrazia interna), territorio, struttura. E meritocrazia. Sono i concetti che tornano anche negli interventi dei big di An (da Matteoli a Gasparri, dalla Meloni a Ronchi, da Bocchino al sindaco Alemanno che porta il saluto della città e annuncia che "Roma non sarà più la città dei ministeri e della burocrazia”) che parlano al popolo della destra dall’immenso palco dove campeggia lo slogan: "Il partito degli italiani". A mezzogiorno in punto arriva il presidente della Camera Gianfranco Fini, la platea lo accoglie con un lungo applauso ma le mani battono più forte quando sul maxischermo scorre il video con la storia e le battaglie di Giorgio Almirante (Mirko Tremaglia si commuove e come lui tantissimi militanti coi capelli grigi).  In prima fila gli esponenti degli altri partiti a cominciare da Forza Italia con Fabrizio Cicchitto (capogruppo Pdl alla Camera) e Gaetano Quagliariello (vicepresidente dei senatori Pdl). In una giornata carica di pathos, non mancano momenti di commozione. Il primo quando Franco Servello ricorda la medaglia d’oro al valor civile a Licia Cossetto per la tragedia delle Foibe. Il secondo, il video che racconta l’impegno dei militari nei maggiori teatri di conflitto internazionali.

Location d’effetto. Un lungo ponte che unisce due simboli – il logo di An a sinistra e quello del Pdl a destra -, e attraverso di loro la storia che è stata e quella che sarà: passato e futuro. Concetti che An intende far pesare eccome nella costruzione del partito unico. E su questo è chiarissimo il passaggio del reggente Ignazio La Russa – al quale tocca il compito di rassicurare i suoi “non è un congresso di chiusura, ma un nuovo inizio, porteremo la nostra identità e più destra nel nuovo partito” – che scandisce tra gli applausi: “Nel Pdl ci saranno regole, pluralismo culturale in una cornice di valori comuni. E le decisioni andranno prese dopo un dibattito ampio, che coinvolga tutti, anche se alla fine guai se non arrivasse il momento delle scelte”. E’ proprio questo che almeno per ora preoccupa il popolo della destra nato e cresciuto in un partito strutturato, fatto di regole e rigore.  La Russa riassume alcuni punti del nuovo statuto spiegando che “ci sarà un presidente eletto dal congresso (la prossima settimana) e la leadeship di Berlusconi nessuno la discute, tre coordinatori e un ufficio di presidenza composto da venti persone fra le quali i capigruppo e i vice di Camera e Senato che accompagnerà le scelte assunte dal leader del partito. I tre coordinatori saranno coloro che dovranno dare corso alle decisioni degli organi così preposti”. I coordinatori regionali saranno selezionati dal presidente del partito d’intesa con l’ufficio di presidenza; ognuno di loro sarà affiancato da un vice, sul modello del sistema inaugurato nei gruppi parlamentari. Tuttavia è sulla scelta degli uomini che il reggente di An è categorico, anche qui rivendicando la scuola di partito: “Il principio del 70 a 30 è solo un criterio  ma quello che prevarrà sarà il valore degli uomini, la qualità e la militanza politica”. Che tradotto vuol dire: va bene il partito aperto, dinamico, vanno bene pure i gazebo e internet ma il principio del merito e della territorialità sono pregiudiziali che An pone fin d’ora per la costruzione del Pdl (e c’è da credere che le farà pesare subito dopo il congresso fondativo). Messaggio per Forza Italia al quale si aggiunge la sottolineatura (applauditissima dalla platea) che “Il Pdl non nasce dal predellino ma dalla grande manifestazione popolare del 2 dicembre 2006”.

Questione Lega. La Russa non ci gira troppo intorno e sottolinea che col partito di Bossi, pur nel rispetto dell’alleanza, dovrà esserci “una sana competizione”. Non a caso dice che “occorre competere ed essere pronti ad accettare i correttivi proposti dagli alleati (come nel caso delle ronde, ndr). Questo non significa però accettare l’ineluttabilità del fatto che “siccome per vincere bisogna stare insieme, un passo indietro lo debba fare sempre il Pdl. I passi indietro o si fanno insieme o non si fanno”.

C’è un’ultima battaglia che La Russa chiede ai suoi di compiere con forza: spronare il Brasile a far tornare in Italia e in galera “il terrorista Cesare Battisti”. Standing ovation dalla platea.

Bacchettate alla Lega anche dal capogruppo del Pdl alla Camera Italo Bocchino  che avverte: “Dovremmo aiutare Berlusconi ad essere meno accondiscendente nei confronti della Lega, atteggiamento che forse nasce dal ricordo del ribaltone”. E sul nuovo soggetto politico aggiunge: “Ci troviamo di fronte a un bivio, o si costruisce un condominio o costriuamo la casa comune”. Seconda opzione, non c’è dubbio ma il richiamo è al ruolo che tutti dovranno svolgere con pari dignità.

Torna su valore dell’identità il ministro Meloni. Identità che "non si può racchiudere nei trenta millimetri del simbolo sulla scheda”. Identità che per la trentaduenne leader di Azione Giovani sta nei valori: la sicurezza, la vita contro l’aborto, le politiche per i giovani. E allora “avanti”, nel Pdl.

Raccoglie le istanze di An il presidente del Senato Renato Schifani che troveranno piena cittadinanza nel partito unico. “In Silvio Berlusconi troverete pienamente la capacità di comprendere e far proprio quanto di nobile, di duraturo, di valido c’è nella storia del vostro partito”. Quanto al Pdl ne esalta la funzione di innovazione e il contributo alla semplificazione della politica, così come “hanno scelto gli elettori” nel 2008. “Ci sono grandi affinità tra i partiti che faranno parte del Pdl, una coesione non solo parlamentare ma pienamente condivisa nei valori”, continua Schifani. Poi si rivolge a Fini al quale rende “omaggio per il coraggio, la forza e il sacrificio” che questa lunga transizione ha comportato. Un percorso, conclude, in cui “l’azione di Fini ha saputo imprimere una direzione chiara e un’accelerazione straordinaria verso una destra liberale, attenta ai suoi valori tradizionali ma non chiusa nella difesa del passato”.

L’unica voce fuori dal coro nel giorno in cui An ammaina le proprie bandiere è quella di Roberto Menia che sale sul palco e critica la scelta dello scioglimento per passare nel Pdl. Un passaggio affrettato, dice, sarebbe stato meglio un percorso federativo. La platea si scalda, segno che non tutto è scontato nel popolo della destra alla vigilia di un nuovo cammino. E lavera partita si giocherà nel territorio, dove militanti e dirigenti manifestano di non aver ancora digerito le scelte di Fini e dei suoi colonnelli.