Anche agli inglesi piace il made in Italy, ma solo quello di Ammaniti

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Anche agli inglesi piace il made in Italy, ma solo quello di Ammaniti

18 Gennaio 2009

Venduto in quindici paesi. Tradotto in ventiquattro lingue. Agli editori piace molto, ed è comprensibile, dare conto in quarta di copertina o nel risvolto dei successi oltrefrontiera dei propri autori di punta. Eppure, anche nei casi di enorme successo di cessione dei diritti, anche quando il romanzo sia stato tradotto nei paesi più imprevedibili e nelle lingue più stravaganti, spesso, per non dire quasi sempre, manca la traduzione in inglese.

Non impossibile, almeno per i libri nostrani di qualità o di buon successo, essere tradotti in spagnolo, in francese o in tedesco. E, una volta assicuratisi il contratto con editori di qualche grande nazione con un mercato librario ampio, è relativamente facile far sì che il volume venga poi pubblicato anche in paesi più piccoli. Così la lista si allunga a colpi di Slovenia, Slovacchia, Islanda o Lituania. Ma per quanto riguarda il mondo anglofono, e soprattutto la Gran Bretagna, tutto è più difficile. Riuscire a farsi tradurre è un bel colpaccio di per sé, al di là degli esiti economici o di notorietà che ne possano seguire.

Niccolò Ammaniti che è pubblicato un po’ ovunque, ad esempio in macedone per i tipi dell’editore Kultura di Skopje, ce l’ha fatta già da un pezzo. La edimburghese Canongate Books ha stampato nel 2004 “Io non ho paura” (“I’m Not Scared”) e poi ha bissato tre anni dopo con “Ti prendo e ti porto via” (“Steal you away”). E ora, più o meno in contemporanea con l’uscita italiana del film “Come Dio comanda” di Gabriele Salvatores, pellicola controversa e piuttosto disturbante tratta dall’omonimo romanzo di Ammaniti, la scozzese Canongate manda in libreria, con un titolo tutto diverso, “Crossroads”. Cioè proprio l’edizione inglese di “Come Dio comanda”. E sotto i primi passi di questo romanzo si è subito srotolato il tappeto color porpora.

“Crossroads” è arrivato sugli scaffali di Oltremanica l’8 gennaio, ma già il quattro, in anteprima, l’Observer, cioè il domenicale del Guardian, ha ospitato una lunga, lusinghiera recensione del romanzo. Coperto così il lato centrosinistra dei lettori inglesi, titillati da un riferimento critico e un po’ caricaturale alla “Berlusconi’s brave new Italy”, sono bastati altri otto giorni perché la bibbia della City, il Financial Times, fornisse la sua dose di lodi a “Crossroads”, chiamando a raccolta dal prestigioso pulpito delle sue pagine una platea di lettori di orientamento più spiccatamente mercatista. Ciò che ha colpito Matthew Kneale, recensore per il Financial Times dell’opera di Ammaniti, e un’ambientazione italiana fuori dai clichè. Niente sciabordio d’acque sotto la chiglia di una gondola, insomma. Niente profumo di zagare. Niente solleone su sottofondo di mandolini o, in alternativa, colpi di lupara. Niente effetto cartolina. Piuttosto, un paesaggio con rovine (umane), conficcato in una provincia del Nordest livida e zuppa di pioggia. “Un atteso controbilanciamento – scrive il FT – al romantico ritratto del paese di stampo turistico”. Made in Italy, dunque, ma con sorpresa.