Anche ai nostri ragazzi farebbe bene imparare a fare buon uso del fallimento
11 Aprile 2012
La ‘Wimbledon High School’, prestigioso istituto femminile britannico, ha organizzato fra i suoi corsi "la settimana dell’insuccesso": l’idea nasce per mostrare alle ragazze come non abbattersi di fronte ai fallimenti, alle delusioni. Prendere forza dall’insuccesso per migliorare le proprie performance. Partire dagli errori per non ripeterli ed imparare dall’esperienza.
Tollerare la frustrazione è l’unico modo per acquisire la forza e il coraggio di credere in se stessi e potenziare la propria autostima. Questo il messaggio dei corsi. Sarebbe forse il caso di farli anche in Italia, dove invece l’insuccesso nelle scuole è vissuto solo come un’inutile umiliazione sia dai ragazzi che dai genitori. Va anche detto che gli insegnanti non hanno la mentalità, la capacità, e la voglia, spesso, di comprendere cosa ci sia dietro un insuccesso e come potrebbe essere utilizzato dai propri alunni. Si cresce per tentativi ed errori, ma ai nostri ragazzi non l’abbiamo permesso.
I nostri piccoli, protetti ad oltranza quando divengono adolescenti sono fragili ed impauriti di fronte a qualunque ostacolo che immaginano debba essere rimosso da mamma, papà o da qualche sostituto. La loro fragilità spesso sfocia in arroganza. Non sono capaci di lottare e rischiare per le proprie idee in modo leale e coraggioso, piuttosto i loro litigi spesso finiscono in internet con attacchi alla persona, attraverso insulti e maldicenze. Nascosti, si vendicano e non si assumono la responsabilità di un proprio pensiero, non sanno lottare per affermare un ideale, un punto di vista. Hanno paura di esporsi, hanno timore di sbagliare. Il paradosso della nostra educazione è rappresentato dal fatto che da un lato abbiamo iperprotetto ma contestualmente abbiamo dato messaggi molto competitivi, sollecitando al successo a tutti i costi. I ragazzi sentono di dover essere competenti e brillanti in molti settori.
Si dovrebbe insegnare a fare un buon uso del fallimento, ma per poterlo fare bisogna essere capaci di saperlo attuare innanzitutto per se stessi. Purtroppo sia gli insegnanti che i genitori hanno il terrore del fallimento che registrano come qualcosa da non far mai accadere pena il dissolversi dell’identità. Questa paura nasconde un perfezionismo malsano; è come se immaginassimo di avere già le risposte, senza capire che invece si costruiscono nelle relazioni e nelle esperienze attraversando percorsi difficili e tortuosi.
Per far raggiungere dei risultati ai ragazzi ed aiutarli ad elaborare la frustrazione, sia nella scuola che in famiglia si dovrebbe insegnare ad elaborare l’errore. Ad imparare dall’esperienza, anche se negativa e frustrante. Abbiamo passato invece ai ragazzi l’idea che si possono ottenere risultati magnifici senza sbagliare. Tutto, subito e senza fatica. Quest’idea di perfezione da raggiungere con facilità ha prodotto un risultato nefasto. Spesso i ragazzi si ritirano e non fanno più nulla perché hanno timore di confrontarsi, di sbagliare, vivono l’errore come un’inadeguatezza che non riescono a tollerare. La protezione ad oltranza non permette ai ragazzi quindi di poter sperimentare le proprie risorse, le proprie capacità e la propria resistenza alla frustrazione.
Protezione eccessiva, fare al posto loro, sostituirsi nelle risposte, significa togliere ai figli la capacità di resistere e di trovare il coraggio di osare, di scegliere, di sbagliare e di capire le conseguenze delle proprie azioni; insomma un colpo basso all’autostima.