Anche gli ebrei festeggiano il loro Natale

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Anche gli ebrei festeggiano il loro Natale

Anche gli ebrei festeggiano il loro Natale

09 Maggio 2016

Tutto ha inizio l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione; poi vengono Natale e Santo Stefano. Per il mondo cristiano, le ultime settimane dell’anno rappresentano l’incarnazione stessa della “festività”: amici e parenti si riuniscono attorno ad un tavolo per pranzi interminabili, milioni di regali vengono scambiati davanti all’albero o al presepe, canzoni a tema riecheggiano nei negozi e per le strade. Ma i cristiani non sono gli unici: anche gli ebrei festeggiano il Natale, il mondo ebraico celebra una ricorrenza carica di suggestioni. Si chiama Chanukkà, dura otto giorni – quest’anno dal 21 al 29 dicembre – e deve la sua origine ad eventi occorsi due secoli prima della nascita di Cristo.

La nascita di Chanukkà – il Natale ebreo, detta anche “festa delle luci” – viene narrata nel primo e nel secondo libro dei Maccabei. Ed è una storia così bella che merita di essere raccontata. Nel 180 a.C., Antioco IV Epifane prende il posto del fratello alla guida del regno siriano: a quel tempo la Siria, sotto la dinastia Seleucida, controllava un vasto territorio comprendente le terre d’Israele. A differenza del predecessore – che aveva garantito agli ebrei libertà di culto, lavoro e commercio – Antioco iniziò a perseguitare il popolo eletto: non solo i sudditi di religione ebraica subirono vessazioni e violenze personali, ma i loro templi furono profanati ed ellenizzati.

Le violenze durano anni. Quando però nel 167 a.C. Antioco fa consacrare a Zeus un altare all’interno del tempio di Gerusalemme, nel popolo ebraico scatta la molla della rivolta. È allora che Giuda Maccabeo mette insieme un piccolo esercito di uomini, che con l’aiuto di Dio – nel giro di soli due anni – riconquista il tempio profanato: “Ecco, i nostri nemici sono stati sconfitti. Andiamo perciò a purificare il tempio e a restaurarlo” (Maccabei I, 4;36). Giunti alle porte dell’edificio sacro, però, la scena che si presenta agli occhi dei ribelli è raccapricciante: “Il santuario deserto, l’altare profanato, le porte bruciate, le piante cresciute nei cortili come in un bosco o come su una montagna, le celle in rovina” (Maccabei, I, 4;38).

Gli uomini del Maccabeo si rimboccarono le maniche: per giorni lavorarono alla ristrutturazione del tempio, fino al completo ripristino della sacralità. “Poi Giuda, i suoi fratelli e tutta l’assemblea d’Israele, stabilirono che i giorni della dedicazione dell’altare si celebrassero a loro tempo, ogni anno, per otto giorni” (Maccabei I, 4;59): sono gli otto giorni di Chanukkà. Ma non è tutto. All’interno del tempio si verificò un miracolo: e a raccontarcelo, questa volta, è il Talmud. Per riconsacrare l’edificio, secondo la liturgia, dell’olio d’oliva avrebbe dovuto bruciare nella Menorah (il candelabro ebraico) per otto giorni consecutivi: a seguito della devastazione siriana, però, era rimasto olio soltanto per un giorno. Una minima riserva, che continuò però a bruciare per tutto il tempo necessario: la missione di Giuda Maccabeo poteva considerarsi miracolosamente conclusa.

Ogni anno, a più di duemila anni di distanza, il Natale per gli ebrei ricorda la riconquista del tempio di Gerusalemme. Inizialmente poco sentita – si tratta infatti di una festa che non affonda le radici nella Torah (testo sacro dell’ebraismo) –, la festa è tornata in auge nel corso del XX secolo. Qual è oggi il suo significato? Secondo Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, al centro di tutto c’è la luce: “È il simbolo fondamentale della festa di Chanukkà”. Si tratta di una luce divina, che ha accompagnato il popolo ebraico nel corso della sua storia: “Secondo i nostri Maestri, periodicamente ricompare la luce nascosta e Chanukkà è uno di questi momenti. Compito di tutti noi è coglierla, e se possibile aumentare la luce”.

Le parole del rabbino trovano riscontro nei rituali che accompagnano la festa delle luci. Nel Natale degli ebrei, la tradizione vuole che venga acceso un lume per ogni sera di Chanukkà: la lampada – formata da otto lumi più uno, detto “servitore” – viene solitamente sistemata davanti a una finestra o vicino alla porta d’entrata. “L’uso” spiega David Gianfranco Di Segni “è di accendere i lumi al primo calare della sera, quando c’è ancora gente per strada: lo scopo è rendere pubblico il miracolo che avvenne a quel tempo, di manifestare a tutti che gli ebrei riacquistarono miracolosamente la loro libertà e indipendenza culturale”. Chanukkà è dunque una festa da condividere: da qui la pratica, in voga da qualche anno anche a Roma e Milano, di accendere un candelabro in piazza nella sera che inaugura la festività.

Gli otto giorni di Chanukkà sono un momento di gioia per tutti gli ebrei. I bambini ricevono regali: le dreidl – trottole a quattro facce che recano l’iscrizione “lì è avvenuto un grande prodigio”, utilizzate già al tempo di Giuda Maccabeo – e soldi premio per aver studiato la Torah. Fondamentale è poi la carità, in segno di riconoscenza verso Dio per il miracolo del tempio. Ma la festa delle luci invade anche la tavola: si va dal tipico “bombolone” fritto nell’olio d’oliva alle fettine di mele cosparse di zucchero e cannella, passando infine per il riso alle uvette – particolarmente diffuso sulle tavole italiane.

Data la vicinanza di Chanukkà al Natale, negli ultimi anni – soprattutto negli Stati Uniti – sembra essersi diffusa una particolare tradizione. Il suo nome è “Chrismukkah”: per citare Wikipedia, un neologismo dal sapore “pop” che indica la commistione tra due festività, il 25 dicembre cristiano e la festa delle luci ebraica. A celebrarlo, continua l’enciclopedia, sono le famiglie formate da genitori di diversa estrazione religiosa. La festa, che ai più apparirà una stravaganza, non dovrebbe rappresentare una novità per i tanti appassionati delle serie tv americane: a lanciare definitivamente “Chrismukkah” ci ha pensato infatti un telefilm di enorme successo, “The O.C.”, creato da Josh Schwartz nel 2003.

Inventore della ricorrenza, nel serial, è il geniale Seth Cohen: figlio di padre ebreo e madre cristiana, per non scontentare nessuno pensa di mettere insieme le due feste. Curando il tutto nei minimi dettagli, a partire dalla menorah sapientemente collocata a fianco di un abete decorato. Il successo è clamoroso: complici i milioni di telespettatori che seguono le gesta della famiglia Cohen, nascono siti di gadget e biglietti ispirati alla neonata ricorrenza. E non mancano le polemiche: in un comunicato congiunto, le associazioni cattoliche ed ebraiche di New York accusano “Chrismukkah” di insultare entrambe le religioni; le critiche, però, non fanno che accrescere la popolarità del neologismo, inserito dalla prestigiosa rivista “Time” tra le parole dell’anno. Oggi, comunque, è certo che Natale e Chanukkà continuano a riscuotere maggior successo prese nella loro singolarità. Come dire, tradizione che vince non si cambia. [Aggiornato all’8 maggio 2016]