Anche in Europa Sarkò rompe con Chirac

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Anche in Europa Sarkò rompe con Chirac

Anche in Europa Sarkò rompe con Chirac

11 Luglio 2007

Nonostante il grande attivismo del neo-Presidente francese sulla scena europea nelle ultime settimane, in Francia i temi di politica internazionale hanno occupato un posto tutto sommato marginale durante la campagna per l’elezione presidenziale di aprile-maggio e, a maggior ragione, per le elezioni legislative di giugno. Come spesso succede in occasione delle scadenze elettorali francesi, i principali candidati alla Presidenza hanno preferito affrontare temi economici, sociali e istituzionali. Nel 2007, però, su un tale comportamento ha influito in modo decisivo il peso della vittoria dei “no” al referendum sul Trattato costituzionale europeo del maggio 2005: per non deludere il fronte del “no” o quello del “si” – fronti trasversali agli schieramenti politici – i candidati con più chances hanno preferito glissare sui temi europei, come Ségolène Royal, o esprimere posizioni retoriche in quanto irrealizzabili, come François Bayrou.

Nicolas Sarkozy ha avanzato un programma che esplicitamente si proponeva di riassorbire la frattura creatasi con il referendum. Da un lato, per sbloccare l’Europa da un punto di vista istituzionale egli aveva proposto di sottoporre a ratifica del Parlamento (e non più per via referendaria) un “trattato semplificato di natura istituzionale”. Dall’altro, il candidato dell’UMP era consapevole che i “no” al trattato costituzionale europeo erano derivati in ampia misura da quanti non avevano gradito la politica ondivaga di Chirac sull’adesione della Turchia e da quanti intendevano salvaguardare il “modello” social-economico francese dalle imposizioni liberiste di Bruxelles. Per questo, aveva preso una posizione netta contro l’entrata della Turchia, sostenendo di voler difendere l’“Europa politica” da una sua riduzione ad un grande mercato comune europeo e offrendo in cambio una grande “Unione mediterranea”. Allo stesso tempo, Sarkozy, che pure nel 2005 assunse posizioni molto decise a favore di un’Europa liberista, aveva affermato di voler difendere l’“Europa economica”, ossia di voler mettere in piedi un’Europa in grado di difendere e promuovere i propri interessi nei confronti dei grandi insiemi economico-finanziari planetari (in primis Stati Uniti e Cina). In altri termini, il candidato UMP attribuiva un forte ruolo all’Unione europea sul piano della protezione dei prodotti, dei mercati e delle imprese: mentre la socialista Royal faceva affidamento soprattutto sullo Stato francese per combattere gli effetti destabilizzanti della globalizzazione, Sarkozy ha mostrato di saper capovolgere la logica alla base dei “no” e di indicare un’“Europa che non deve essere il cavallo di Troia della mondializzazione”. A coronamento e motore di questa costruzione, egli poneva una specie di consiglio ristretto delle sei grandi potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna e Polonia) e l’accettazione della logica delle “cooperazioni rafforzate”.

Per questo, al vertice di Bruxelles del 21-23 giugno, nonostante quanto si è potuto leggere su gran parte della stampa italiana – Mario Monti ha criticato l’abbandono nel “trattato semplificato” del riferimento alla libera concorrenza -, il neo-presidente francese ha mostrato di essere, per ora, coerente con il proprio programma. Ha ottenuto un consenso generale sul trattato semplificato come strumento per superare lo stallo – se non la crisi – in cui da due anni si trova l’Unione europea; ha mostrato come questa possa essere uno strumento per la difesa del modello francese grazie all’eliminazione del riferimento alla libera concorrenza, al riconoscimento della specificità dei servizi pubblici, alla protezione dei cittadini come finalità dell’Unione. A ciò, bisogna aggiungere che ha dato prova – e ha volutamente insistito su questa immagine – di grande attivismo in campo europeo, di abile mediatore tra la Merkel e i due Kaczynski e di affidabile partner di Gran Bretagna e Germania. In Francia egli ha teso a mostrarsi come il campione del volontarismo politico, del “ritorno della politica”, e soprattutto come vero trionfatore del summit – “volevamo il trattato semplificato, abbiamo il trattato semplificato”.

L’impressione di “rupture” con gli ultimi due anni del regno di Jacques Chirac è fortissima: non solo Sarkozy intende conseguire la “sintesi del si e del no” al referendum del 2005, che il suo predecessore non aveva saputo elaborare, riempiendo di nuovi contenuti la politica della Francia in Europa, ma egli sta già dispiegando una strategia comunicativa che lo porta a spiegare ai francesi il loro “dovere di fare l’Europa” ed è più volte apparso in pubblico per assolvere tale funzione pedagogica. L’Europa è tornata al centro della politica estera d’oltralpe e i primi a doverlo comprendere sono i francesi stessi.

Eppure, come molti giornali suggeriscono sottolineando i risultati modesti del vertice e il cammino ancora estremamente laborioso della stesura del mini-trattato, le vere prove da superare in futuro saranno ben più ardue di un summit da cui sia Blair sia Merkel sia Sarkozy volevano portare a casa un successo e mostrare alle proprie opinioni pubbliche di aver rilanciato l’Europa. L’Europa politica voluta dal Presidente francese resta ancora ampiamente da definire, soprattutto per quanto riguarda il ruolo degli Stati membri e la portata delle cooperazioni rafforzate. In particolare, il vero banco di prova sarà proprio il contenuto che Sarkozy, discepolo dell’Edouard Balladur che intendeva dare maggior peso alle relazioni tra Parigi e Londra, darà all’espressione “asse franco-tedesco”- diventata una formula ormai vuota a furia di essere utilizzata come omniesplicativa nella penna di analisti e giornalisti.