Anche in Libano c’è voglia di vera democrazia

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Anche in Libano c’è voglia di vera democrazia

19 Febbraio 2011

Che il cambio di Governo in Libano abbia quantomeno allertato Israele lo si era capito quando il 7 febbraio il Governo di Gerusalemme ha deciso di congelare il ritiro delle proprie truppe dalla zona settentrionale di Ghajar, località siriana occupata nel 1967 che negli anni si è estesa verso Nord in Libano e che dal 2000 è formalmente divisa in due dalla Blue Line di demarcazione tra lo Stato ebraico il Paese dei Cedri. Il timore di riconsegnare al nuovo Governo libanese, che molti considerano un vero e proprio fantoccio di Hezbollah, un’area proprio a ridosso del confine, deve essere aumentato in seguito alle dichiarazioni del nuovo Premier Miqati che proprio qualche giorno fa in un’intervista aveva elogiato la resistenza di Hezbollah e attaccato senza mezzi termini il Tribunale Speciale per il Libano.

Sul fronte della indagini sull’assassinio di Rafik Hariri, le regole del Tribunale vietano di rendere pubblici i capi di accusa e i nomi degli imputati fin quando non sarà confermata la bozza dell’atto di accusa presentata dal procuratore Daniel Bellamare lo scorso 17 gennaio. Nel frattempo, però, Hezbollah ha alzato i toni della contrapposizione con Israele tanto da minacciare lo scorso 16 febbraio di occupare la Galilea in caso di attacco israeliano. Questa dichiarazione, così come l’allarme bomba in diverse ambasciate israeliane, rendono abbastanza bene l’idea del clima che si sta respirando in queste ore sul confine mediorientale più instabile, anche alla luce degli stravolgimenti che si stanno profilando in altri paesi dell’area come Egitto, Tunisia, Libia, Yemen e Barhain.

Per avere un quadro più ampio di quelle che saranno le prossime mosse delle forze politiche libanesi e avere un riscontro diretto delle sensazioni che si hanno in Libano del terremoto che sta mutando il volto del Grande Medio Oriente, abbiamo rivolto alcune domande a Elsy Oueiss, dirigente del partito delle Forze Libanesi, guidato da Samir Geagea. 

Nell’ultima settimana si sono svolti due importanti meeting in Libano, uno a Dar el fatwa l’altro a Biel, che hanno polarizzato le più importanti forze politiche del Lbiano. Quali sono gli orientamenti emersi da questi due incontri?
Biel è stato un evento per rilanciare la rivoluzione dei cedri e commemorare Rafik Hariri e tutti i martiri del Libano. Dar el fatwa è stato invece un meeting dei Sunniti al quale ha partecipato il Premier Mikati. Egli, pur avendo partecipato alle elezioni del 2009 nelle liste della coalizione del 14 Marzo è diventato oggi il candidato di Hezbollah. Il partito di Dio ha scelto Mikati perché quest’ultimo gode all’estero di una buona credibilità internazionale e può promuovere l’immagine di Hezbollah a livello internazionale. Allo stato attuale Mikati se da una parte ha elogiato il ruolo svolto dal Hezbollah nella resistenza dall’altro ancora non ha chiarito del tutto la propria posizione sul Tribunale Internazionale. C’è infine da ritenere possibile uno stallo nella formazione dell’esecutivo in attesa delle accuse del Tribunale. 

Allo stato attuale qual è la linea politica di Saad Hariri, Samir Geagea e del Generale Michel Aoun, un tempo nemico della Siria e oggi alleato di Hezbollah?
Oggi i Sunniti, le Forze Libanesi e le altre componenti della coalizione del 14 Marzo lottano per gli stessi obiettivi sia sotto l’aspetto politico che sul piano della formazione del Governo per la quale si chiede un’adeguata rappresentanza per poter svolgere un ruolo di primo piano nelle decisioni dell’Esecutivo. In particolare si chiede con insistenza il disarmo di Hezbollah e la necessità di contrastare la minaccia terroristica che da questo deriva. Il monopolio della forza deve essere solo nelle mani dell’Esercito libanese. Il Libano deve attenersi alle decisioni del Tribunale e rispettare tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Inoltre si invoca il rispetto della costituzione libanese (accordo di Taef) e la sua applicazione. Infine Aoun. Il Generale Aoun si sta opponendo all’operato del Tribunale e al rispetto delle risoluzioni ONU. Il suo principale obiettivo è quello di raggiungere il maggior numero possibile di ministri per poi diventare Presidente della Repubblica. Considerando che attualmente il Presidente del Parlamento libanese è il leader storico di Amal, Nabih Berri, e che l’attuale Premier è considerato legato agli ambienti siriani viene da pensare che con la conquista della Presidenza della Repubblica l’asse Iran Siria ed Hezbollah avrebbe centrato l’obiettivo di creare le premesse per un pericoloso allineamento con Teheran.

Per questo motivo Hariri ha annunciato per il prossimo 14 Marzo, data storica per le forze politiche che nel 2005 manifestarono contro la presenza siriana in Libano, un’imponente manifestazione per dire no alla presenza armata di Hezbollah e per non far allineare il Libano all’Iran e la Siria. 

Cosa pensa di quanto sta avvenendo in Egitto, Tunisia, Iran e in altri paesi dell’area? Ritiene che le comunità cristiane presenti in questi paesi, e non solo, possano essere a rischio dopo questi rapidi e apparentemente inaspettati cambiamenti?
In primo luogo distinguiamo tra quello che sta avvenendo in Tunisia ed Egitto da quello che avviene in Iran. La rivoluzione in Egitto o in Tunisia ha uno sfondo socio – economico, la gente ha manifestato a causa della povertà e per la corruzione, per elezioni libere, libertà di parola e per le riforme del sistema politico. Ritengo che le ragioni sopra esposte siano condivisibili e noi sosteniamo la realizzazione dei sistemi democratici soprattutto se tale obiettivo è la risultante della volontà dei cittadini. Ad oggi inoltre non è stato possibile identificare in queste manifestazioni un preciso tratto islamico e pertanto non ci sono motivi di ritenere che i cristiani siano a rischio. Bisognerà capire l’evolversi di questa transizione e solo a quel punto, qualora dovessero andare al potere partiti estremisti si profilerebbero dei rischi per i cristiani. Va detto però che i cristiani hanno partecipato a questi scontri non tanto come copti ma in primo luogo come egiziani. Diversa invece è la situazione in Iran, dove da due anni, una larga parte della società iraniana, alla quale auguriamo di raggiungere l’obiettivo, si sta opponendo alla dittatura di Ahmadinejad. Per quanto riguarda il Baharain e lo Yemen è ancora presto per capire se lo scenario è simile a quello dell’Egitto a della Tunisia oppure si possa riscontrare il tentativo destabilizzante dell’Iran.