Anche la Cia non è più quella di una volta
07 Novembre 2009
di redazione
La cattiva notizia, nella sentenza del tribunale di Milano sul caso Abu Omar, è la raffica di condanne che si è abbattuta sugli 007 della Cia. Un brutto messaggio lanciato ai nostri alleati americani. Anche se, bisogna ammetterlo, quegli agenti e chi li dirigeva se la sono anche cercata. E non perché le rendition siano “moralmente sbagliate”, come sostiene il pm Spataro. Bensì perché gli uomini dell’Agenzia avrebbero potuto gestire meglio l’intera l’operazione.
La sentenza è un duro colpo per le relazioni d’intelligence nell’area euro-atlantica. Per la prima volta un tribunale di un Paese alleato degli Usa non si è limitato ad espellere agenti di un servizio segreto straniero ritenuti “scomodi”, ma li ha condannati in contumacia. Negli ultimi anni, prima le indagini e poi il processo hanno portato allo smantellamento di una rete operativa fatta di uomini e donne che lavoravano per la nostra sicurezza. Una rete che per fortuna si sta ricostruendo con nuovo personale e rinsaldando legami inscindibili. Ma proprio perché non siamo usi a criticare il ruolo svolto dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, possiamo permetterci una piccola critica nei confronti della Cia. E riguarda proprio il modo con cui gli agenti americani hanno condotto l’operazione.
Dici Cia e ti aspetti professionisti della segretezza in grado di cambiare identità in un battibaleno. Senza arrivare agli eccessi cinematografici di un Jason Bourne, ma rimpiangendo un po’ il vecchio Scorpio, l’idea che avevamo sull’Agenzia è di un luogo dove fare la spia è una cosa seria, molto seria. Invece abbiamo letto con un crescendo di perplessità alcuni dettagli della “rendition” di Abu Omar: gli agenti che lo hanno ‘prelevato’ si sono lasciati dietro alcune ma decisive tracce del loro passaggio. Hanno abbandonato documenti non criptati e altro materiale “scottante” nei lussuosi alberghi milanesi dove risiedevano, che alla fine hanno permesso di identificarli.
Forse le spie americane pensavano di avere a che fare con i giudici di quei Paesi dove finiscono abitualmente le “vittime” delle rendition. Posti in cui molto spesso si perde il lume della legge, finendo per combattere il nemico con le sue stesse armi. Invece erano in Italia, che da un punto di vista giudiziario è un Paese che ha una lunga storia nella lotta al terrorismo. Insomma, il Dipartimento di Stato ha tutte le ragioni a dirsi deluso della condanna di Milano, ma non puoi lamentarti troppo quando sei stato scoperto con le mani nel sacco.