Anche la gente di colore si è stufata di Obama (e non è razzismo)
22 Luglio 2010
Circola fra i liberal americani un ragionamento tanto stupido quanto diffuso e pericoloso. Il quale più o meno segue questa paralogica: Barack Hussein Obama è il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti d’America; chi critica la linea politica di Obama si oppone all’operato del primo presidente nero della storia nordamericana; da sempre sono i pregiudizi razziali che contrastano, inibiscono e paralizzano l’azione pubblica nei neri; ergo chi contesta la Casa Bianca oggi è un pericoloso razzista. E tali sono dunque soprattutto e anzitutto i conservatori, i Repubblicani all’opposizione, nonché il “minaccioso” popolo dei “Tea Party”.
Quella della retorica sul colore, la pelle, la razza, le minoranze discriminate è infatti oggi l’ultima carta con cui l’Amministrazione in carica a Washington cerca di strappare un poco di compassione al pubblico, un segno pur minimo di solidarietà, un gesto anche piccolo di condiscendenza. Avendo infatti perso ogni motivo serio di appeal, e non avendo più a disposizione lo straccio di un’argomentazione valida, la Sinistra statunitense si sta sgangheratamente abbandonando alla rappresaglia più sommaria.
Punta di diamante del ragionamento subdolo di cui sopra è l’ineffabile NAACP, la National Association for the Advancement of Colored People, ovvero l’organizzazione che dietro la foglia di fico della promozione dei diritti civili per i cittadini americani di colore spinge il radicalismo ideologico più spudorato. Su National Review online del 20 luglio l’economista Thomas Sowell, Senior Fellow alla prestigiosissima Hoover Institution on War, Revolution and Peace dell’università californiana di Stanford, la definisce il classico caso in cui un «ente benemerito degenera in un racket di cattivo gusto». Apriti cielo, Sowell è solo uno sporco razzista.
Solo che il giochino qui s’inceppa. Perché Thomas Sowell è afro-americano, insomma nero come Obama, e al contrario di Obama conservatore e paladino del free market. Con lui il rimpiattino “razzista perché conservatore” o “conservatore perché razzista” si scioglie come neve al sole, mandando fra l’altro le Sinistre su tutte le furie. Uno come Sowell dimostra infatti persino fisicamente la colossale bugia di chi negli Stati Uniti da mezzo secolo circa dice e ripete che il conservatorismo è solo una postura architettata a difesa di smaccati pregiudizi di tipo etnico-razziali.
Né uno come Sowell ci si diverte, anzi tutto il contrario. Ricordando che per molti, forse lui incluso, l’elezione di Obama alla Casa Bianca nel novembre 2008 rappresentò il sogno realizzato di un’America finalmente postrazziale, un Paese cioè dove il mito delle supremazie contrapposte, delle faide interetniche e dei gravi problemi d’intolleranza veniva definitivamente superato, Sowell constata invece con grande amarezza – lui, nero fra i neri ma non certo disposto a farsi schiavizzare una volta in più dall’ennesima fola ideologica – che non è andata affatto così. Addirittura che Obama stesso si è mutato in una grandiosa pedina della strumentalizzazione razziale, quella che cerca di delegittimare le critiche politiche degli avversari evitando di rispondervi puntualmente ma agitando spettri di epiteti e di giri mentali turpi ancorché (quando applicati ai critici politici odierni della Casa Bianca) candidamente falsi.
Del resto, basta fare anche solo una breve capatina su YouTube e digitare “black conservatism” per essere inondati dal profluvio di cortometraggi amatoriali in cui rapper filo-Repubblicani le cantano in musica a Obama, video di “Tea Party” dove mamy di colore e giovani che sembrano usciti da certe street-gang rendono alla Casa Bianca pan per focaccia o registrazioni di trasmissioni televisive prime-time dove il dolore culturale dei neri traditi dal “loro” primo presidente federale viene articolato con il massimo della dovizia e della perizia.
L’idea che la genti di colore debbano per forza essere di sinistra è infatti sciocca tanto quanto all’idea che i neri siano solo degli straccioni indolenti: un falso palese, acuito dal corollario liberal che recita che se così è, allora per loro non resta che il sussidio statale, la schiavitù del welfare. E questo non è affatto un paralogismo, ma una idea fissa delle Sinistre americane che configura il pregiudizio ideologico più smaccato, se non persino un allure autenticamente razzistica.
Non basta infatti spedire alla Casa Bianca un presidente nero a metà per credere di potersi comperare a buon mercato il lasciapassare che consente di dare a tutti e a ognuno del razzista a cuor leggere onde coprire errori economico-politici enormi di cui non si vuole e non si sa rendere ragione. Obama è un grande bluff: oggi negli Stati Uniti lo dicono a chiare i neri americani, gente come il prelibato Thomas Sowell per esempio.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk