Anche la Russia contro Google. Cosa teme il Cremlino?

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Anche la Russia contro Google. Cosa teme il Cremlino?

03 Aprile 2010

Soltanto qualche giorno fa, dopo un braccio di ferro durato mesi con Pechino, Google ha chiuso il suo motore di ricerca cinese, dirottando tutti gli utenti su un nuovo sito con sede a Hong Kong. Un tentativo estremo quanto inutile. In Cina, infatti, la censura è continuata a crescere e a trarne vantaggio sono stati il locale Baidu e mamma Microsoft, che ha già fatto sapere che non ritirerà il suo Bring dall’immenso mercato pubblicitario cinese. Ma la guerra dei motori di ricerca, per non piegarsi al dominio di Google, non si combatte solo in Cina, scrive Evgeny Morozov sull’autorevole Foreign Policy. Secondo l’agenzia russa RBK Daily, il governo di Mosca sta per investire cento milioni di dollari in un nuovo motore di ricerca nazionale, capace di soddisfare meglio gli “interessi dello Stato” e di “facilitare l’accesso a informazioni sicure”. Dietro questa nuova idea ci sarebbe la mente del cardinale grigio Vladislav Surkov, primo consigliere dell’Amministrazione Medvedev e promotore del recente progetto della Silicon Valley russa, ma anche autore della controversa teoria della “democrazia sovrana” e uno dei più forti sostenitori del movimento giovanile Nashi, che difende la politica del Cremlino. Mosca sembra già aver individuato i suoi partner. A contribuire al progetto, infatti, saranno Rostelecom, il gigante delle telecomunicazioni controllate dallo Stato, ABBYY, una delle più importanti software house del Paese, e Ashamnov and Partners, società di Internet consulting con a capo Igor Ashmanov, uno dei pionieri del web in Russia. Inoltre, il governo può contare su una folta schiera di esperti informatici, come Konstantyn Rykov e Askar Tuganbayev.

Ashmanov, intervistato qualche giorno fa dalla radio Echo of Moscow, ha confermato la reale intenzione del Cremlino di nazionalizzare la ricerca online: “Se Google vincesse in Russia sarebbe un male”, ha spiegato. E’ ormai chiaro, infatti, che tutti i motori di ricerca, insieme a social network come Facebook e Twitter, riescono ad influenzare l’opinione pubblica e sono la principale risorsa di informazioni dettagliate su cosa pensano e cosa vogliono le persone. Se Mosca dovesse inaugurare un altro motore di ricerca statale, per Google – almeno apparentemente – sarebbe soltanto un concorrente. Secondo le stime di Live Internet, oggi Google copre il 21,9 per cento del traffico dei motori di ricerca russi, preceduto da Yandex, che invece ne controlla poco più del 62. Ma, ed è questo che preoccupa il Cremlino, Google continua a crescere al ritmo del 6 per cento e la Russia si sta confermando uno dei mercati più interessanti per la società di Mountain View. Yandex, a sua volta, da un anno è controllato da Sberbanck, una delle banche statali, che rappresenta neanche troppo velatamente il governo di Mosca. Parlando con i giornalisti, Ashmanov ha spiegato che con investimenti adeguati e l’installazione del motore nazionale in tutti i computer delle istituzioni russe, come scuole, prigioni e ospedali, si potrà arrivare a coprire fino al 15 per cento del traffico complessivo. Una quota sufficiente, quindi, per contrastare Google. Ed è evidente come gli spazi per il motore di ricerca americano rischino di restringersi, non soltanto in termini di business, ma sopra tutto in quelli di libertà. Dopo il caso Stati Uniti-Cina, l’ipotesi che anche il colosso di Mountain View entri in rotta di collisione con il Cremlino non sembra poi così improbabile.

Non è la prima volta che Mosca tenta di controllare dall’alto la comunicazione online. Già all’inizio di quest’anno, il governo aveva discusso – senza giungere ad alcuna conclusione – un piano per garantire ad ogni cittadino russo un unico account di posta elettronica: il modo più semplice per controllare chi usufruisse di determinati servizi di governance. E il Cremlino non sembra essere l’unico a credere in quest’idea. Nel mese di dicembre il governo turco aveva avviato il progetto Anaposta, che fin da allora ricalcava perfettamente le intenzioni di Mosca: e cioè costruire un motore di ricerca nazionale e un sistema di posta elettronica per ogni cittadino. Mentre all’inizio di febbraio, anche Teheran annunciava un piano nazionale per bypassare Gmail, l’ennesimo tentativo del regime di bloccare la libertà non soltanto in termini economici quanto intellettuali. Segno che se Cina e Russia sono lontane da quelle che si definiscono propriamente democrazie occidentali, non sono le uniche a voler controllare l’informazione.

Certo, l’idea di realizzare motori di ricerca nazionali non è nuova: perfino gli europei ci avevano provato per diversi anni, senza ottenere alcun risultato. Questa volta, però, non c’è nessun orgoglio e patrimonio nazionale da tutelare o preservare e l’unico obiettivo del Cremlino è quello di adottare un controllo molto più forte sui flussi di informazione nel Paese. E ci sono, ovviamente, inevitabili implicazioni politiche. Mosca, al pari di Pechino, vede in Google uno strumento al servizio dell’opposizione interna e del rivale statunitense, per questo lo teme e corre ai ripari con la decisione di adottare l’arma della censura: quei filtri che Google in Cina ha applicato fino al 13 gennaio scorso e al recente addio con destinazione Hong Kong. D’altronde Igor Ashmanov, intervistato dai giornalisti, ha lasciato intendere le vere ragioni che si celano dietro la decisione di Mosca: “Google ormai è diventato uno strumento di interesse americano”, ha affermato. E per scongiurare questo rischio, tutto il resto passa in secondo piano, al punto che “non importa che qualcuno possa pensare che la Russia non sia una vera democrazia”.