Anche per Oliver Stone le “fake news” sono una balla
06 Febbraio 2017
Anche il regista Oliver Stone, quello dei film controversi sulla storia americana come Platoon e JFK, l’amico di Ahmadinejad e di Chavez, dichiara che le elezioni Usa del 2016 non sono state truccate dagli hacker russi, che Donald Trump non ha vinto grazie alla longa manus di Putin, e che in definitiva le fake news, le notizie bufala, sono quelle messe in giro dai giornaloni e dalla grande stampa euroamericana. Abbiamo scritto queste cose ormai da tempo, ben prima della denuncia di Stone, almeno da quando si diffuse la voce che qualcuno voleva attentare alla candidatura della superfavorita Hillary, spacciando appunto bubbole anticlintoniane sul web.
Del resto non è solo la gilda hollywoodiana a darsi una svegliata – la sinistra critica alla Oliver Stone, non certo quella allineata al partito democratico modello “Brangelina” – ma fior di riviste considerate a ragione o a torto la crema del giornalismo online americano, come la moderata e conservatrice The Atlantic, che non ha mai perdonato a Trump la scalata al partito repubblicano. Adesso, però, The Atlantic titola “l’ascesa delle fake news progressiste” e intervista gli editor di Snopes, uno dei siti che Facebook ha scelto come “controllori” delle notizie che circolano sul social media, e così anche gli specialisti del “debunking”, cioè quelli che si occupano di andare a caccia di bufale su Internet, ci spiegano che addirittura il filosofo statunitense Michael Walzer, uno dei numi tutelari della sinistra Usa, la pensa come noi.
Walzer infatti è convinto che su Trump, Putin, gli hacker russi e le fake news, il partito democratico degli Obama e dei Clinton si sia dimostrato perlomeno “ingenuo”, tralasciando le vere questioni che dagli Usa all’Europa stanno spingendo sempre più elettori, il famoso popolo del web, a contestare l’establishment e i poteri forti votando per Trump, e in Europa magari per Wilders e Le Pen, per Brexit o contro il referendum renziano. Se questo è il quadro, resta da capire perché, durante le elezioni americane, a un certo punto, quando diventa chiaro che la Clinton non era la favorita come volevano farci credere esperti, giornalisti, sondaggisti e chi più ne ha ne metta, sia stata messa in giro la voce delle “fake news” che avrebbero penalizzato la candidata democratica.
Perché i grandi giornali scrivevano che se avesse vinto Trump avremmo assistito a un crollo di Wall Street, che invece nelle scorse settimane ha battuto tutti i record e ancora gode di ottima salute? Perché, dopo la sconfitta di Lady Clinton, il presidente uscente, Barack Obama, con un comportamento del tutto irrituale rispetto alla storia americana, invece di legittimare il suo avversario, cioè il nuovo presidente, Donald Trump, ha invece tirato fuori la storia degli hacker russi, usando tutto il suo potere per far passare il Don come un presidente teleguidato dal Cremlino, una specie di fantoccio nelle mani di Putin? Con tutto l’arsenale della stampa e dei mezzibusti televisivi, la Cia e le agenzie di intelligence che sparavano ad alzo zero contro Trump sostenendo la versione obamiana dei fatti?
Oliver Stone ha detto quello che ha detto mentre annunciava il suo nuovo documentario sull’Ucraina. Sarà che Obama, preso atto del fatto che sarebbe stato ricordato dai posteri soprattutto come il presidente delle fallite primavere arabe, a un certo punto ha deciso di scommettere tutto su un’altra primavera che gli Usa, insieme all’Europa, avevano sponsorizzato, quella Ucraina appunto, la rivoluzione di Piazza Maidan, che vuol dire sanzioni al Cremlino colpevole di aver favorito il referendum secessionista in Crimea mentre Mosca sosteneva le forze pro-russe in Ucraina.
Che sul tema la propaganda sia fioccata da tutte e due le parti e che i gruppi filo-russi nel bacino del Donbass continuino ancora oggi a produrre fuffa non c’è dubbio, ma far passare Trump come un pupazzo nelle mani di WikiLeaks e di Putin forse era strumentale all’ultimo giro di carte distribuite dal mazziere Obama, cioè al dispiegamento, semplice rotazione secondo la NATO, minaccia imminente secondo i russi, di qualche migliaio di soldati americani, e di un discreto numero di carri armati e mezzi corazzati, avvenuto di recente nei Paesi al confine con Mosca. Per tenere sotto pressione Putin, certamente, ma anche, e torniamo alla storiella degli hacker russi, per costringere il Don, una volta entrato alla Casa Bianca, a proseguire sulla strada segnata dal suo predecessore, quella delle sanzioni, sostenuta dalle cancellerie europee e della NATO che in questi ultimi giorni, dalla Merkel, alla May al nostro Gentiloni, continuano a chiedere a Trump di non venire meno al patto atlantico, mentre il segretario generale dell’Alleanza, Stoltenberg, conferma che il progetto dello scudo antimissile anti-iraniano, ma sempre al confine russo, va avanti.
La battaglia delle fake news a quanto pare non è finita, il coro dei giornaloni e degli opinion leader sul web e sui social media continua a cantare la solita canzone contro Trump e chiunque in Europa provi a contestare l’ordine costituito. E se guardiamo alle prime mosse della nuova amministrazione Usa, ai toni, inaspettatamente duri, del segretario di stato Tillerson e del nuovo ambasciatore Usa alle Nazioni Unite Nikki Haley, verso Mosca, qualcosa ci dice che il piano obamiano di non uscire di scena come dovrebbe, agitando lo spettro della guerra fredda, ha prodotto qualche risultato.
Fallite le primavere arabe, l’autoproclamatosi capo della resistenza a Trump, Obama, non può permettersi di veder svanire anche il sogno delle primavere arancioni. Dunque aspettiamoci nuovi scoop dei giornaloni, nuovi agenti prezzolati che accusano Trump di aver fatto il bagno a Mosca con le escort russe, nuove bugie targate partito democratico che però non reggono alla prova dei fatti e delle commissioni del Congresso. Se si svegliano anche pesi massimi come Oliver Stone, denunciando quello che stiamo scrivendo da mesi, qualcosa, forse, è destinato ad andare storto nei piani di Obama, dei padroni di Internet, nelle regolamentazioni del web che l’Unione Europea si affretta a imporre per tenere sotto controllo i social media, forse qualcosa comincia a incrinarsi, e la verità, per quello che può significare ancora questa parola nel mondo delle fake news, inizia a venire a galla.