Anche Prodi dà la colpa alla crisi della politica

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Anche Prodi dà la colpa alla crisi della politica

Anche Prodi dà la colpa alla crisi della politica

29 Maggio 2007

Per Romano Prodi, passato in
quarantott’ore dal cabaret all’agronomia, domenica e lunedì non è accaduto
niente che non fosse stato abbondantemente previsto. Sono i tempi della
coltivazione, dice lui: quando si pianta una vite, non ci si aspetta i risultati
dopo un anno ma bisogna attenderne cinque. E la stessa cosa vale per “un
premier serio”, anche se il Professore, avendo annunciato che nel 2011
tirerà i remi in barca, sembra destinato in ogni caso a sottrarsi al giudizio.
Nel nord, ammette il presidente del Consiglio, esiste un problema. Ma si tratta
di un “disagio evidente nei confronti della politica”. Non nei confronti del
governo Prodi, come sembra invece ritenere una larga parte della maggioranza
che lo sostiene.

Il disagio esiste: per
Antonio Di Pietro si chiama insicurezza, per Giovanni Russo Spena si chiama
scarsa equità sociale, per Daniele Capezzone si chiama tasse. Si chiama invece
Partito democratico per un largo e composito schieramento che all’interno
dell’Unione va da Francesco Rutelli ad Alfonso Pecoraro Scanio, passando per
Clemente Mastella, Piero Fassino e Fabio Mussi. Sembrerà strano, e
probabilmente lo è, ma nel day after dello tsunami elettorale fra le file della
sinistra non si discute d’altro che di Pd. Secondo i diretti interessati (Ds e
Margherita) la costruzione della nuova casa dei democratici all’amatriciana va
troppo per le lunghe, secondo gli altri partiti della coalizione dell’argomento
in questi mesi s’è invece parlato fin troppo, col risultato che in queste ore è
sotto gli occhi di tutti.

Nello specifico, per Rutelli
il nodo della leadership andrebbe sciolto in fretta, mentre Fassino, che avendo
optato per ottobre come data di nascita del nuovo soggetto politico non può
permettersi di forzare la mano, parla più genericamente della necessità di uno
“scatto”, a fronte di un risultato elettorale che “sarebbe errato
sottovalutare”. Gli “altri”, a sinistra e a destra del nascituro, presentano il
conto: Mastella invita Prodi a pensare “prima al governo e poi al Partito
democratico”, un “partito finto forte che non c’è” e del quale “non possiamo
accettare il ricatto”. Il Guardasigilli torna a chiedere un “tagliando” per
l’esecutivo in panne, e la stessa metafora – da diverse posizioni – viene
adottata dal socialista Enrico Borselli.

Gongola il “fuoriuscito”
Fabio Mussi, di fronte ad un partito nascente che “va malissimo” e regala un
“notevole successo” a liste e candidati chiaramente di sinistra. Non è vero,
ribatte Rutelli, il Pd non andrà bene ma pure la sinistra non ha guadagnato nulla.
Perché le amministrative, si sa, son fatte così: la matematica non è
un’opinione, ma entro certi limiti con i numeri si può giocare, e ognuno cerca
di far credere ciò che più gli aggrada. L’unica certezza è la sconfitta
dell’Unione. Quanto alla guerra fratricida per l’attribuzione delle
responsabilità, c’è da scommettere che nei prossimi giorni ne vedremo delle
belle. Anche perché il Documento di programmazione economica e finanziaria è
alle porte, e Oliviero Diliberto ha già provveduto a far sapere che “questa
volta un documento a scatola chiusa non lo votiamo davvero”.

Resta da capire cosa farà il
centrodestra. Silvio Berlusconi per tutto il giorno è rimasto silente a godersi
lo spettacolo di una maggioranza a pezzi, ma sembra che entro questa sera si
pronuncerà. Nell’immediato, il presidente di Forza Italia deve decidere se
recarsi o meno al Quirinale per reclamare elezioni politiche anticipate. Nel
lungo periodo, c’è invece da capire come reagiranno gli altri partiti della Cdl
di fronte ad un risultato che ha riconfermato prepotentemente la forza della
leadership del Cavaliere.

Sul fronte opposto, Walter
Veltroni ha rotto il silenzio, ma solo per dire che “il risultato delle
amministrative merita una riflessione molto seria, molto approfondita e molto
realistica”, ma “nella sede che abbiamo deciso e cioè nella riunione del
coordinamento dell’Ulivo”. Di più non dice, il buon Veltroni. Non attribuisce
colpe né dispensa giudizi. Forse l’ex vice-premier ed ex segretario Ds teme che
qualcuno possa ricordargli a seguito di quale disastro elettorale è finito a
fare il sindaco di Roma.