Anche se instabile l’Egitto sta meglio
18 Febbraio 2011
"Condi" Rice, l’ex segretario di stato dell’amministrazione Bush, ha scritto che l’America di allora si era illusa che il regime egiziano potesse cambiare. La "Rivoluzione del Nilo" invece ha dimostrato che è finito il tempo di barattare la "democrazia" con la "sicurezza" se a garantirla sono personaggi come Mubarak. Ma una delle penne più caustiche dell’American Enterprise Institute, Danielle Pletka, ha ricordato un incontro avvenuto con Condi durante il secondo mandato di Bush. Quando aveva chiesto al segretario di stato come mai il presidente Usa non avesse pubblicamente condannato le mancate riforme del faraone, la Rice le aveva risposto che la diplomazia non è un cartone animato. Uscendo, un esperto del dipartimento aveva commentato sornione: "La democrazia in Medio Oriente. E’ finita".
Il secondo mandato di Bush è quello in cui l’amministrazione repubblicana s’incaglia in Iraq, perdendo gran parte dell’idealità che aveva caratterizzato il primo mandato: la reazione all’11 Settembre, l’ambizioso obiettivo di esportare la democrazia in Medio Oriente, il patriottismo e la mobilitazione bellica permanente come ai tempi della Seconda Guerra mondiale. Gli errori commessi dopo la liberazione dell’antica Mesopotamia avrebbero costretto la Casa Bianca a scendere nuovamente a compromessi con gli autocrati stile Mubarak. Nel 2008, parlando a Sharm El Sheikh, Bush si rivolse al faraone dicendogli: "I appreciate very much the long and proud tradition that you’ve had for a vibrant civil society". Avrebbe fatto anche di meglio, accettando tacitamente l’investitura di Gamal alla successione. Il discorso del Cairo di Obama, con il sostanziale disingaggio e la definitiva ritirata strategica, morale e ideale, degl Usa dal mondo (un fenomeno che affonda le sue radici nella presidenza di Bush Padre, dopo la vittoria nella Guerra Fredda), ha permesso a Mubarak di tirare a campare, prima che la piazza esplodesse.
Ma l’autocritica della Rice contiene un importante messaggio di speranza rivolto a tutti coloro che nel mondo arabo e musulmano si stanno battendo per vivere in modo democratico. La costruzione della democrazia non è qualcosa di pacifico. Avviene sempre in modo caotico e instabile, nel corso del tempo, di molto tempo, ed è costellata di rischi. Dopo la caduta di Mubarak in Occidente si è diffusa la grande paura che l’Egitto di domani sarà peggio del passato; una teocrazia mascherata e strisciante, come la Turchia o l’Iraq, sostengono alcuni. La democrazia di Al Jazeera, per intenderci. L’instabilità del Cairo è diventata la principale preoccupazione delle cancellerie occidentali che con Mubarak avevano imparato a chiudere gli occhi per fare affari. La Rice invece ha un atteggiamento propositivo. In Egitto si sono aperti nuovi scenari. Non c’è solo il welfare della fratellanza ad attirare gli elettori. Ci sono tanti giovani, come quel responsabile arabo di Google salito sulle barricate per arringare la folla in nome della libertà di espressione, che potranno trasformarsi nella classe dirigente di domani. Ci sono le minoranze, i dissidenti, Ayman Nour e il tycoon copto, gli intellettuali e i magnati liberali, tutta genta che si è occidentalizzata e condivide i valori della democrazia liberale. Poi, ovviamente, ci sono i Fratelli Musulmani che tengono un profilo basso perché sanno di poter diventare la maggioranza politica del paese. "I prossimi mesi potrebbero essere turbolenti – conclude la Rice – ma la turbolenza è preferibile alla falsa stabilità della autocrazia".