Anche Toyota va in pezzi e il 2009 sarà molto peggio

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Anche Toyota va in pezzi e il 2009 sarà molto peggio

23 Dicembre 2008

La crisi economica mondiale colpisce anche un colosso come Toyota. Il costruttore nipponico ha ridotto le stime in merito ai risultati per l’esercizio in corso e ha svalutato i propri bilanci per oltre 150 miliardi di yen, circa 1,7 miliardi di dollari. Quello che giunge dal primo produttore d’automobili al mondo è un segnale esemplificativo di una crisi ben più profonda delle aspettative.

La società di Nagoya per la prima volta in 71 anni si appresta a registrare una perdita operativa, dopo la riduzione degli utili netti del 91%, da 550 miliardi di yen a soli 50 miliardi, 556 milioni di dollari. Il bilancio che si chiuderà il 31 marzo 2009 vedrà il gruppo in una situazione ben peggiore delle previsioni di inizio esercizio. Ma il peggio dovrà ancora verificarsi, dato che per il 2008/2009 è stata ipotizzata una contrazione delle vendite nell’ordine dell’8,5%, con meno di 8 milioni di autoveicoli venduti.

Per Toyota, che dalla sua fondazione rappresenta un modello industriale vincente, il 2008 ha quindi rappresentato un importante turning point del suo business. Il 2009 vedrà il gruppo ridurre fino a 11 miliardi di dollari i propri investimenti, riducendo la produzione nei nuovi stabilimenti, come quello indiano, ed apportando svariati tagli per ridurre i costi. Il tutto per far fronte ad una domanda globale che sembra sempre più in contrazione.

Nemmeno un simbolo importante come Toyota è indenne ad una crisi che sta investendo sempre più anche il settore industriale, sebbene sia iniziata in quello finanziario. Le commistioni fra i due mondi sono così intense che sarebbe stato molto arduo non immaginare un tal epilogo, nonostante alcuni predicavano il contrario con vigore. La crisi di Toyota emerge ancora di più dalla parole dei suoi vertici, che per la prima volta parlano apertamente di difficoltà.

"Stiamo fronteggiando una situazione d’emergenza senza precedenti" dice il presidente Katsuaki Watanabe, ricordando come "le condizioni globali possono anche peggiorare ulteriormente". Il numero uno del gruppo nipponico ha rassicurato dipendenti e azionisti affermando che non sono previsti licenziamenti delle parti stabili di organico. Allo stesso modo, non sono in discussione richieste di sostegno da parte di terze parti. Nessun coinvolgimento di private equity, nessun riferimento ad eventuali aiuti di stato da parte del Giappone, nemmeno in una situazione complicata come quella odierna. Il pensiero vola al recente intervento da parte dell’amministrazione americana a salvaguardia del mercato automobilistico del Nord America. General Motors e Chrysler riceveranno quasi 20 miliardi di dollari per contrastare la spirale di svalutazioni cominciate con il crollo del castello di carte dei mutui subprime nell’agosto 2007.

La recessione di fatto che sta avvolgendo tutti i paesi industrializzati, nelle previsioni di IMF e OECD, potrebbe, tanto velocemente quanto improvvisamente, peggiorare e coinvolgere anche settori fino ad ora non contemplati. Le stime di crescita del prodotto interno lordo mondiale si stanno riducendo sempre più e il timore di una flessione ancora maggiore è reale, specie considerando come la crisi del mercato del credito al consumo non sia fantaeconomia.

Dallo scoppio della bolla subprime ad oggi sono successi molti eventi drammatici, come i casi Bear Stearns e Lehman Brothers, e sono stati spesi miliardi su miliardi per fronteggiare una vera e propria ecatombe dei listini borsistici. Per la precisione, considerando anche il recente piano di 17,4 miliardi per i costruttori di Detroit, la somma dei soldi utilizzati per far ritrovar un equilibrio ai mercati e ripristinare le perdite societarie è di oltre 8mila miliardi di dollari, come ricordato da Barry L. Ritholtz, top manager di Ritholtz Capital Partners.

Che il 2007 sia stato solo il preludio è stato appurato. Non si deve correre il rischio di credere che il 2009 non sia altro che il secondo atto di una tragedia iniziata nel 2008. Bisogna solo sperare che l’autore di quest’opera non abbia in serbo altri, numerosi, atti per la platea.