Anche Ue e Vaticano contro il “no” della Svizzera ai minareti
30 Novembre 2009
Continua a far discutere il “no” ai minareti sancito in Svizzera da un referendum. Anche la santa Sede e l’Ue insorgono. Il presidente del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, spiega di essere “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”, che hanno espresso forte preoccupazione per quello che hanno definito “un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. Lo stesso Vegliò, del resto, aveva espresso con chiarezza il suo pensiero sul referendum tre giorni fa, in occasione della presentazione del messaggio del Papa per la Giornata mondiale per i migranti. “Non vedo come si possa impedire la libertà religiosa di una minoranza, o a un gruppo di persone di avere la propria chiesa”, aveva detto il presidente del Pontificio consiglio. “Certo – aveva aggiunto – notiamo un sentimento di avversione o paura un po’ dappertutto, ma un cristiano deve saper passare oltre tutto questo, anche se non c’è reciprocità”.
Anche per il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell’Ue, Carl Bildt, il no alla costruzione dei minareti emerso dal referendum svizzero lancia “un segnale negativo”. “È un’espressione di un notevole pregiudizio e forse anche di paura, ma è chiaro che è un segnale negativo sotto ogni aspetto, su questo non c’è dubbio”, ha dichiarato alla radio svedese. Per Bildt è anche “molto strana” la decisione di Berna di sottoporre la questione a referendum: “Di solito in Svezia e in altri Paesi sono gli amministratori delle città a decidere su queste cose”.
Interviene anche il Consiglio d’Europa: “Nonostante sia espressione della volontà popolare, la decisione di vietare la costruzione di nuovi minareti in Svizzera suscita in me grande preoccupazione”, afferma Lluis Maria de Puig, presidente dell’Assemblea parlamentare. “Se da un lato questa decisione riflette le paure della popolazione svizzera e dell’Europa, nei confronti del fondamentalismo islamico, dall’altra, mentre non aiuterà ad affrontare le cause di questo fondamentalismo, è molto probabile che incoraggi sentimenti di esclusione e approfondisca le spaccature all’interno della nostra società”.
Gli svizzeri ieri non hanno seguito il consiglio e l’esito del referendum ha ribaltato le previsioni: il 57,5% si è mostrato favorevole al divieto di costruire nuove torri da cui il muezzin chiama alla preghiera islamica (ha votato quasi il 54% della popolazione). In Ticino la modifica costituzionale è stata accolta dal 68%, nei Grigioni dal 58,6%. In base ai risultati ufficiali, solo quattro dei 26 cantoni che formano la Confederazione hanno respinto la proposta avanzata dal partito della destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf: Ginevra, Neuchatel, Vaud e Basilea città.
Soddisfazione, naturalmente, nel campo conservatore che ha promosso il referendum. “Per anni – ha detto Walter Wobmann, presidente del comitato promotore dell’iniziativa referendaria – il malcontento della popolazione per la costruzione di minareti non ha potuto esprimersi”. Non mancano però i timori di un impatto negativo sull’export verso i Paesi islamici e sul turismo, che attira molti visitatori dal mondo arabo, specie dal Golfo persico.
Il voto porterà dunque alla modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto della costruzione dei minareti sarà inserito come una misura “atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose”. Nessuno, tuttavia, pensi a propositi liberticidi in tema di libertà religiose: “L’odierna decisione popolare riguarda soltanto l’edificazione di nuovi minareti – mette le mani avanti il ministro della Giustizia Eveline Widmer-Schlump (che ha definito l’esito della votazione espressione delle paure diffuse nella popolazione nei confronti di correnti islamiche fondamentaliste) – e non significa un rifiuto della comunità dei musulmani, della loro religione e della loro cultura”. Non ci sarà nessun effetto sui quattro minareti già esistenti e tantomeno restrizioni alla costruzione di moschee. I musulmani potranno quindi continuare a osservare il proprio credo religioso praticandolo individualmente o in comunità, ha rassicurato l’Esecutivo. Anche alcuni dei difensori del “no” ai minareti hanno insistito su questo punto. “Il divieto dei minareti non cambierà niente per i musulmani che potranno continuare a praticare la loro religione, a pregare e a riunirsi. Si tratta di un messaggio, la società civile vuole mettere un freno agli aspetti politico-giuridici dell’Islam”, ha detto il parlamentare svizzero Oskar Freysinger dell’Udc.
Il mondo islamico, però, alza la voce. Il Gran Muftì dell’Egitto, Ali Gomaa, ha definito il referendum “un insulto” a tutti i musulmani. In un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa ufficiale Mena, Gomaa parla di “attacco” alla libertà di religione. Il Gran Muftì, principale autorità religiosa islamica nominata in Egitto, ha poi incoraggiato i musulmani residenti in Svizzera a protestare contro il voto in maniera legale e ad aprire un dialogo con il resto della società.
In Europa, avverte Maariv, “è iniziata adesso una reazione” contro la popolazione islamica, condotta simultaneamente in vari Paesi da forze nazionaliste e xenofobe. “Si tratta di una decisione razzista, forse la più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. È come se avessero deciso di tagliare i boccoli degli ebrei religiosi” ha esclamato in una intervista alla radio militare Uriah Shavit, un ricercatore della Università di Tel Aviv autore di un libro sull’Islam in Europa.
Medesima convinzione è stata espressa da Sallah Aghbarya, portavoce del movimento islamico in Israele. In un articolo di commento Maariv rileva che in Europa “ci sono centinaia di predicatori islamici che sputano odio contro cristiani, ebrei e hindu. L’Europa, intimorita, preferisce tacere e resta paralizzata. Se il Referendum fosse stato sulla loro espulsione, sarebbe stato più efficace”. Ancora: “Piuttosto che confrontarsi con il contenuto delle prediche nelle moschee – conclude il giornale – la Svizzera ha preferito concentrarsi sull’architettura”. Secondo Shavit dietro la mobilitazione degli svizzeri contro i minareti ci sono anche considerazioni di carattere economico, ossia il timore che la loro presenza possa abbassare il valore delle abitazioni nei quartieri vicini. “In quanto Paese che rispetta il diritto di culto – ha concluso Shavit – Israele dovrebbe adesso condannare pubblicamente l’esito del voto degli svizzeri”.
Sul frequentatissimo sito Internet di cultura islamica Islamonline, il giurisperito e rettore di un’università islamica negli Stati Uniti, Taha Alwani si chiede polemicamente “perché mai gli svizzeri sono impauriti dai minareti, ma non sono affatto turbati quando comprano petrolio dai Paesi islamici, quando le loro società fanno affari nelle capitali arabo-musulmane, quando decidono di conservare nelle loro banche il denaro dei musulmani”. La notizia ha trovato anche ampio risalto nei notiziari delle due tv panarabe che per molte ore hanno aperto proprio con la “Svizzera vieta i minareti”. Cercando di spiegare all’opinione pubblica musulmana le ragioni dell’inquietudine elvetica, una conduttrice di al Jazira, intervistando uno dei promotori dell’iniziativa referendaria, ha chiesto: “Perché mai avete deciso di scomodare tutta la Svizzera per soli quattro minareti?”, riferendosi alle uniche quattro torri per la chiamata alla preghiera presenti attualmente nella Confederazione. Sui blog e nei forum on-line i toni sono stati però più accesi, fino a toccare punte di rabbia: “In Europa è in atto una guerra contro l’Islam”, ha scritto un lettore libico del sito della tv al Arabiya. “Oggi i minareti. Domani le moschee”, è intervenuto tale Said Ardallah sul forum aperto da al Jazira. “Con i loro soldi nelle banche elvetiche gli ebrei hanno in pugno il Paese”, ha aggiunto Ardallah. I musulmani residenti in Svizzera si sono mostrati meno radicali. “La Svizzera ci ha accolto e dobbiamo rispettare i loro valori”, ha detto da Zurigo Muhieddin. “Mi chiedo – ha aggiunto – se l’Islam-religione-di-tolleranza si mostra davvero tale quando bisogna concedere permessi per la costruzione di nuove chiese nei Paesi musulmani”.
Dall’Italia il presidente del gruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri commenta: “Anche la paziente Svizzera si è stancata del dilagare di immigrazione e Islam. Lo conferma l’esito del referendum sui minareti. Anche in Italia dobbiamo proseguire nella politica del rigore. E’ un nostro pieno diritto”.
Esulta anche la Lega. “Ancora una volta dagli svizzeri ci viene una lezione di civiltà. Il messaggio, che arriva soprattutto a noi che viviamo vicini a questa terra, è forte. Occorre un segnale forte per battere l’ideologia massonica e filo islamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega. Credo che la Lega Nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l’inserimento della croce nella bandiera italiana”. Lo dichiara il viceministro alle infrastrutture Roberto Castelli della Lega Nord. Inoltre, secondo il deputato della Lega Nord Marco Rondini, “è un esempio che dovremmo recepire anche nel nostro Paese, dando subito corso alla proposta di legge Cota-Gibelli sulla regolamentazione dei luoghi di culto non cristiani, che fra le altre cose prevede l’obbligo di un referendum consultivo di fronte a qualsiasi richiesta di costruzione di nuove moschee”.
La costruzione del primo minareto svizzero si deve al magnate del cioccolato Philippe Suchard, appassionato di architettura orientale, avvenuta nel 1865 a Serrière (cantone di Neuchatel). La prima vera moschea con minareto, invece, fu eretta nel 1963 a Zurigo. Il minareto di Ginevra è stato costruito nel 1978 e sono poi seguiti quelli di Winterthur (Zurigo ) e di Wangen bei Olten (Soletta).