Ancora caos e violenza in Thailandia. In Kirghizistan è lutto nazionale

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Ancora caos e violenza in Thailandia. In Kirghizistan è lutto nazionale

09 Aprile 2010

A due giorni dallo scoppio delle proteste antigovernative che hanno gettato nel caos e insanguinato i due stati asiatici del Kirghizistan e della Thailandia, oggi si piangono i morti e si vaga nel limbo dell’incertezza nel primo, si persevera nella violenza nel secondo.

Continua il braccio di ferro in Kirghizistan tra l’opposizione e il presidente in fuga. Da Bishkek l’opposizione dichiara di avere il controllo del paese, ma a sud, dalla sua roccaforte di Osh, il presidente Bakiyev rifiuta di cedere il potere, denuncia "un golpe orchestrato dall’esterno" ma si dice pronto al dialogo con gli autori della sollevazione. Mentre la parola sulla soluzione della crisi, pare passare al di fuori del paese, tra Russia e Usa. Il premier russo Vladimir Putin ieri ha telefonato a Roza Otunbayeva, dandole il suo appoggio e promettendole aiuti umanitari.

Il presidente del Kirghizistan, Kurmanbek Bakiyev si è detto pronto a trattare con quello che ha definito il governo "temporaneo" che ha preso il posto della sua amministrazione. Ma ha insistito sul fatto che non intende rassegnare le dimissioni. Intervistato telefonicamente dalla Bbc, Bakiyev ha confermato di trovarsi in Kirghizistan, nella parte meridionale del paese ma non ha voluto fare il nome del luogo in cui si è rifugiato. Nell’intervista alla Bbc, Bakiyev insiste sul fatto di essere il legittimo presidente e condanna la rivolta accusando il nuovo governo ad interim di essere "assolutamente incapace» di imporre l’ordine. "Se il cosiddetto governo temporaneo che si è autonominato è pronto ad intavolare negoziati – ha però aggiunto – sono pronto ad ascoltarli e capire cosa vogliono". In un’intervista rilasciata precedentemente all’emittente radiofonica russa Ekho Moskvy Bakiyev aveva insistito sul fatto che "non intende" lasciare il Kirghizistan. L’agenzia di stampa Interfax ha fatto sapere che Almazbek Atambayev, vicepremier del governo ad interim, è intanto partito per Mosca dove incontrerà rappresentanti del governo russo.

La capitale Bishkek, è ancora in uno stato di totale caos: folle incontrollabili di manifestanti esaltate dal profumo di vittoria incendiano case, saccheggiano negozi, si abbandonano a pestaggi senza pietà contro ogni sospetto di simpatia con il regime appena crollato. Sono armati di bastoni e di qualsiasi corpo contundente raccattato per le strade devastate. Ma qualcuno ha anche armi vere e proprie a giudicare dagli spari che si sentono echeggiare senza tregua in ogni zona della città. Per fermare lo sciacallaggio il governo rivoluzionario ha dato ordine di uccidere chiunque venga sorpreso a rubare in negozi e case abbandonate. Centinaia di volontari si stanno radunando in una specie di milizia popolare per riportare l’ordine "con ogni mezzo".  

Per oggi è stato proclamato un giorno di lutto nazionale – secondo i dati ufficiali, le vittime sarebbero 75  – e Rosa Otunbayeva, leader del movimento di opposizione e capo del governo ad interim si recherà nel principale ospedale di Bishkek per visitare alcuni del circa 1000 feriti ricoverati dopo le violenze dei giorni scorsi.

L’altro ieri, gli scontri sono cominciati davanti alla sede dell’opposizione, alle porte della città: circa 200 dimostranti hanno bloccato il tentativo della polizia di disperdere l’assembramento, appiccando il fuoco ad auto degli agenti, e poi hanno marciato verso il centro della capitale. La folla, armata con spranghe di ferro, si è via via ingrossata e diretta verso la sede della presidenza. E proprio lì, ad un certo punto, sono stati avvertiti gli spari. I disordini si sono trasformati, così, in un vero e proprio golpe. La situazione democratica, già critica da tempo, per gli osservatori è drammaticamente peggiorata negli ultimi anni. I manifestanti chiedono le dimissioni di Bakiyev, arrivato al potere cinque anni fa sull’onda popolare della "Rivoluzione dei tulipani" – battezzata in questo modo sulla falsariga di altri rivolgimenti in area ex sovietica, come quelli in Ucraina ("arancione") e in Georgia ("delle rose") – che depose l’allora presidente-dittatore post-sovietico Askar Akayev, al potere dall’indipendenza del 1991, e protestano anche contro l’aumento del prezzo del carburante, addebitato alla corruzione del governo.

In Thailandia il clima è ancora più teso. La manifestazione convocata dall’opposizione a Bangkok è degenerata nella violenza. Le "camicie rosse" hanno preso d’assalto la sede della società Thaicom, per protestare contro l’oscuramento del Canale del popolo, la loro emittente televisiva di riferimento. La polizia ha tentato inutilmente di contenere centinaia di dimostranti che ora si trovano nel cortile del complesso. Gli agenti sparano lacrimogeni e stanno utilizzando i cannoni ad acqua per disperdere la folla. Si contano già i primi feriti tra poliziotti e manifestanti.

Le forze di sicurezza thailandesi hanno schierato oltre 33 mila tra soldati e agenti supplementari, per far fronte alle manifestazioni delle "camicie rosse" iniziate venerdì mattina a Bangkok, dove da due giorni è in vigore lo stato di emergenza contro i sostenitori dell’ex premier Thaksin Shinawatra. Il grosso dei rinforzi impiegati a Bangkok è costituito da 31.200 poliziotti, mentre i militari aggiuntivi sono 2.080. Con l’eccezionale dispiegamento, sale a circa 80 mila il contingente delle forze di sicurezza approntato per far fronte alle proteste dei sostenitori dell’ex premier Thaksin Shinawatra – un numero superiore a quello dei manifestanti.

Le ”camicie rosse”, che il mese scorso avevano dato vita ad una bizzarra forma di protesta versando il proprio sangue raccolto in delle bottiglie davanti alla sede dell’esecutivo, chiedono lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni immediate, giudicando illegittimo il governo di Abhisit.