Ancora sconosciuta l’identità dei rapitori, la Farnesina non si sbilancia
04 Giugno 2008
"Ribadisco la linea di assoluto riserbo, il che non significa che non si stia operando". Pasquale Ferrara, portavoce del Ministero degli Esteri, ha spiegato così il silenzio che avvolge il rapimento di Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini in Somalia. I due connazionali, impegnati in attività umanitarie, sono stati prelevati da un gruppo armato il 21 maggio: da allora le notizie filtrano con il contagocce, mentre l’unità di crisi della Farnesina lavora dietro le quinte per giungere ad un accordo con i rapitori.
I fatti. È il 21 maggio: Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, operatori dell’Ong Cins, sono in Somalia da due mesi e lavorano a un progetto di sviluppo agricolo. La loro base operativa è l’hotel Dusa Mareb nel villaggio di Malable, a 70 km da Mogadiscio. All’alba la base dei cooperanti viene assalita da una ventina di uomini armati di mitra: una delle guardie muore nel corso della sparatoria, mentre i due italiani e il capo del progetto – Abduraham Yussuf Harale, di nazionalità somala – vengono sequestrati dai rapitori.
Elisabetta Belloni, responsabile dell’unità di crisi della Farnesina, conferma il sequestro e dà il via alla collaborazione con l’Ong per la quale lavoravano i due italiani. Si tratta del Cisn (Cooperazione italiana nord sud): fondata nel 1988, si descrive come un’organizzazione indipendente riconosciuta da Farnesina, Unione Europea e Nazioni Unite. Il Cisn è attualmente impegnato in 17 paesi: dal 1994 opera anche in Somalia, promuovendo azioni di solidarietà per alleviare le condizioni di vita della popolazione.
Diffusasi la notizia del rapimento, iniziano a circolare ipotesi sull’identità dei sequestratori in attesa di una rivendicazione che continua a farsi attendere. Le indagini partono da quanto accaduto venti giorni prima: il 2 maggio, infatti, una banda tentò di assaltare la stessa casa del Cisn ma gli aggressori vennero messi in fuga. In quell’occasione i potenziali rapitori lasciarono sul campo due cadaveri: uno verrà poi trafugato dalla stazione di polizia che lo aveva preso in consegna. L’Ong, in quell’occasione, minimizzò l’accaduto bollandolo come una battaglia tra bande rivali in prossimità di un check point.
In mancanza di una richiesta di riscatto, scarseggiano anche le certezze. Molti puntano il dito contro l’islamico Shek Sharif Shek Ahmed, ma è lo stesso leader delle Corti islamiche somale a proclamarsi innocente: "Siamo profondamente addolorati e dispiaciuti – ha dichiarato al Corriere della Sera – e faremo tutto ciò che è in nostro potere per liberare i due cooperanti". L’ipotesi più accreditata è che i rapitori provengano dall’arcipelago dei "talebani somali": il rapimento potrebbe allora essere finalizzato alla liberazione di islamici ribelli detenuti dal governo. Alla luce della povertà imperante in Somalia, i sequestratori potrebbero però accontentarsi di un riscatto monetario.
Una cosa è certa: l’Italia può vantare ottimi contatti tanto con il Governo somalo di transizione, guidato dal presidente Abdullahi Yusuf Ahmed, quanto con l’opposizione islamica moderata – l’Alleanza per la Ricostruzione e la Riliberazione della Somalia, sospettata dall’amministrazione statunitense di essere in contatto con Al Qaeda. Informazioni potrebbero giungere inoltre dal corpo di spedizione etiopico presente sul territorio.
Il riserbo chiesto dalla Farnesina, così come l’impossibilità di giungere a ipotesi concrete, va letto alla luce della complessa situazione sociopolitica della Somalia. In guerra costante, da anni il paese fronteggia gli scontri tra signori della guerra, coorti islamiche, governo somalo e truppe etiopi: a poco è servito l’arrivo dei caschi verdi, contingente di pace africano prevalentemente composto da soldati ugandesi. Terra di emigranti, la Somalia è uno dei paesi più poveri al mondo: l’economia nazionale, devastata dai conflitti, dipende interamente dagli aiuti internazionali. Disperate sono le condizioni della popolazione: il sistema sanitario è gestito esclusivamente dalle Ong straniere, proprio come la Cisn per la quale lavorano Occhipinti e Paganini. In questo quadro, frammentario e disperato, gli investigatori dovranno trovare gli spiragli per riportare in libertà i nostri connazionali.