Ancora violenza e sangue nel Kashmir indiano. Tre morti e 8 feriti

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Ancora violenza e sangue nel Kashmir indiano. Tre morti e 8 feriti

15 Settembre 2010

Non si placa la scia di sangue e violenza nel Kashmir indiano, dove da più di 48 ore imperversano proteste anti-governative. Stamane un manifestante è stato ucciso dalla polizia che ha aperto il fuoco su un gruppo di persone che stavano protestando a Mendhar, nella regione a maggioranza induista di Jammu, a 450 km da Srinagar. Secondo altre fonti il numero dei morti sarebbe salito a tre e ci sarebbero anche otto feriti. “Gli agenti hanno aperto il fuoco quando i manifestanti hanno cominciato ad essere violenti, solo dopo che i gas lacrimogeni non sono riusciti a disperdere la folla”, ha precisato un funzionario di polizia.

Il primo ministro indiano Manmohan Singh ha detto che il suo governo è pronto a "dialogare" con qualsiasi persona o gruppo sull’emergenza in Kashmir, ma ciò non può accadere fino a quando non cessa la violenza che "è orchestrata da certi ambienti". Aprendo un vertice dei partiti della maggioranza e dell’opposizione, il premier ha fatto appello alla pace nella vallata musulmana dove anche oggi continuano le proteste dei dimostranti separatisti.

Ieri, nel distretto di Baramulla, nel nord della vallata musulmana controllata dall’esercito di New Delhi, diversi manifestanti separatisti sono stati feriti in altri scontri con la polizia. Le forze dell’ordine sono intervenute con gas lacrimogeni e colpi sparati in aria per disperdere un corteo di indipendentisti che si era radunato fin dall’alba nella località di Khampora, sfidando il coprifuoco imposto dopo i disordini scoppiati lunedì in seguito alla profanazione di pagine del Corano negli Stati Uniti e che hanno causato almeno 19 morti.

Gli episodi di violenza e disordini più gravi sono avvenuti proprio due giorni fa, quando alle tensioni indipendentiste si è aggiunta la reazione degli estremisti islamici contro i cristiani. Nel distretto di Tangmarg una folla inferocita aveva preso d’assalto e incendiato una scuola della Christian Society Mission. Secondo quanto riferito da AsiaNews, altre tre scuole cristiane – la Good Shepherd School di Pulwana, a una quarantina di chilometri dal capoluogo Srinagar, e le protestanti Christ School e Christ Mohalla School, entrambe nella città di Pooch, nel distretto di Jammusono – state assaltate da dimostranti musulmani.

Il capogruppo del Pdl all’Europarlamento e rappresentante speciale dell’Ocse contro razzismo, xenofobia e discriminazioni nei confronti dei cristiani, Mario Mauro, ha chiesto protezione per le scuole cristiane nel Kashmir indiano, che sono frequentate, tra l’altro, prevalentemente da musulmani e che in passato raramente sono state oggetto di persecuzioni. L’attacco contro i cristiani è stato condannato in serata dai alcuni leader musulmani indiani che hanno invocato “moderazione” e cortei pacifici. In un comunicato riportato lunedì sera dall’agenzia Pti e firmato da alcuni clerici, tra cui il presidente dell’All Indian Muslim Majlis-e-Mushawart, Syed Shahabuddin, “si condannano duramente gli attacchi a proprietà cristiane in diverse parti del Kashmir e a Maler Kotla in Punjab”.

Il leader separatista islamico kashmiro Syed Ali Shah Geelani ha intanto proclamato 11 giorni di protesta. Il capo dell’ala “dura” del movimento separatista Hurriyat Conference non ha però indetto una serrata generale, ma ha chiesto alla popolazione di continuare le normali attività lavorative. Geelani – che ha condannato duramente l’attacco di lunedì alla scuola cristiana di Tangmarg, invitando i musulmani alla calma – intende inoltre organizzare per il 21 settembre una marcia contro esercito e polizia. Intanto il ministro degli Esteri pachistano Shah Mahmoud Qureshi ha criticato l’India per “l’uso palese della violenza” da parte delle forze di sicurezza in Kashmir. Qureshi ha chiesto al governo di New Delhi di usare “moderazione” e ha invitato a “trovare una soluzione alla contesa sullo stato di Jammu e Kashmir in base a quanto stabilito dalle risoluzioni dell’Onu e alle aspirazioni del popolo kashmiro”.

Sull’accaduto è intervenuto anche l’arcivescovo Felix Machado, a capo della diocesi di Vasai, ed ex segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. “La situazione del Kashmir è particolare – ha sottolineato –. Si tratta di una polveriera, l’episodio del rogo del Corano si innesta in un contesto di tensioni politiche interne ed esterne, visti i rapporti tesi con il Pakistan. La presenza di gruppi terroristi militanti come Laskar-e-Taiba, crea scompiglio anche in altre parti dell’India”.

Intanto migliaia di poliziotti e paramilitari pattugliano le principali città del Kashmir indiano, con l’ordine di sparare a vista contro chi viola il coprifuoco. “La polizia è dappertutto: circonda le chiese e le scuole per proteggere i luoghi cristiani – ha confermato all’agenzia Fides monsignor Celestine Elampassery, vescovo di Jammu e Srinagar – Siamo molto preoccupati. La comunità cristiana, sempre pacifica, si sente minacciata”.

Secondo Sheikh Amin, noto intellettuale e politologo kashmiro, i responsabili delle violenze che stanno incendiando la valle del Kashmir indiano mirano unicamente “all’indipendenza della provincia” e non vogliono, come invece accaduto in passato, l’annessione al Pakistan. “Le manifestazione sono completamente nelle mani di quei giovani che negli anni Novanta erano bambini, che hanno assistito alla ‘vittimizzazione’ di massa dei kashmiri da parte delle forze di sicurezza indiane e che poi, dopo l’11 settembre, hanno visto svendere i loro interessi dal Pakistan”, ha affermato Amin. Il governo di Islamabad, precisa l’intellettuale, “ha costretto i kashmiri ad abbandonare la lotta armata per l’indipendenza, provocando un danno senza precedenti alla causa del Kashmir”.

Sebbene vi siano molte organizzazioni kashmire coinvolte nelle agitazioni, Amin sostiene che la popolazione stia seguendo le istruzioni e gli appelli alla protesta del filo-pakistano Syed Ali Gillani della All Parties Hurriyat Conference (Aphc), un partito che racchiude 26 sigle politiche e che mira all’indipendenza della regione. Tuttavia, questo non significa che il movimento sia per l’annessione al Pakistan, evidenzia l’intellettuale. “Questa è la prima volta in cui non viene sventolata la bandiera del Pakistan durante un’agitazione. La protesta ha un unico slogan, ossia ‘L’India deve lasciare il Kashmir’, e quindi è solo per l’indipendenza della regione”, ha osservato Amin.

A causa della forte tensione nella regione, ieri sono stati sospesi per tre giorni tutti i voli da e per Srinagar. Da giugno si contano almeno 79 vittime in proteste di stampo indipendentista. A innescare le violenze, tre mesi fa, è stata l’uccisione di un 17enne durante una manifestazione. Dal 1989, la battaglia dei separatisti del Kashmir è costata la vita a 100mila persone. Il governo indiano si è riunito 48 ore fa a New Delhi decidendo di non concedere una parziale revoca dello stato di emergenza, in vigore nella regione da 20 anni.