Andiamoci piano col dire che Gheddafi è stato sconfitto
02 Marzo 2011
Negli ultimi giorni le maggior testate italiani e internazionali non hanno smesso di annunciare “scie di gelsomino” per le strade di Tripoli. Dopo gli annunci della fine della dittatura di Tripoli, del suo collasso, delle croncahe e delle foto delle defezioni, tutti presi dall’euforia tunisina e egiziana, il regime di Muammar Gheddafi sembra tutt’altro che finito.
Che si abbia un penchant realista, idealista o neocon sull’ analisi delle rivolte arabe (categorie politologiche invecchiate di colpo nell’ultimo mese e mezzo) o che si consideri antipatico oppure bonariamente folkloristico l’efferato dittatore libico, il dato chiaro è che sbarazzarsi del tiranno non sarà facile. Altro che marce su Tripoli.
E’ giunto il momento di chiedersi cosa accadrà se Gheddafi dovesse reggere l’urto, se dovesse recuperare il controllo su tutto l’esercito e lanciarsi un nuovo patto con le tribù libiche che gli ha permesso perquasi quarant’anni di governare il suo paese.
La giornata di ieri ha visto l’ennesima serie di scontri ove hanno continuato a guerreggiarsi i lealisti e rivoltosi libici. Ma per la prima volta da giorni, anche i media più entusiasti nei confronti della fronda libica hanno dovuto riconscere che le forze di Gheddafi che hanno segnato nella strategia della riconquista.
Gli attacchi delle forze gheddafiane alla città di Brega, a soli 200 kilometri da Bengasi, ove sono situate raffinerie e infrastrutture di stoccaggio e trasporto di gas e da giorni considerata città tenuta dai ribelli, ne è una delle prove. La città della cirenaica è tornata in mano ai fedeli del colonnello.
Ancora: l’assedio delle città di Ajdabiya, la quale è stata presa d’assalto dall’aviazione lealista, sino all’altro ieri era considerata roccaforte della fronda di Bengasi, è sotto assedio, con un bilancio di 16 morti negli scontri.
Altre rivolte, come ad esempio quelle di al-Zawiyah e Misurata, rispettivamente a Ovest e a Est di Tripoli, risultano non dirette da Bengasi ma considerate “spontanee”. Tanto che in un articolo comparso sul Wall Street Journal, si è lanciata l’idea delle “due ribellioni”: quella di Bengasi e quella della Tripolitania, apparentemente (d’obbligo) non connesse.
Quanto ai ribelli ufficiali, quelli di Bengasi, ieri Abdel Hafiz Ghoqa, il portavoce del “Consiglio Nazionale” di Bengasi, ha ufficialmente presentato in conferenza stampa la composizione dell’organismo, il quale sarà composto da trenta nuovi rappresentanti e guidato dall’ex-ministro della giustizia, Mustapha Abdeljalil.
Il portavoce Ghoqa, in veste anche di vice-presidente del “Consiglio Nazionale”, ha nella giornata di ieri richiesto alla comunità internazionale interventi aerei che mettano fine al vantaggio competitivo di cui dispone ancora oggi il regime di Gheddafi: l’aviazione.
Una richiesta questa che sancisce un significativo cambio di strategia politico-militare da parte della leadership dei ribelli i quali sino a ieri avevano rifiutato un esplicito aiuto militare euro-statunitense, aprendo “solo” alle proposte britanniche di imposizione di una no fly zone sui cieli libici. Con la mossa di ieri conferenza Bengasi chiede aiuto agli europei, agli americani e forze agli egiziani che stanno giocando la loro partita contro il colonnello.
L’imposizione di una no fly zone è al vaglio della comunità euro-atlantica. Ieri il ministri Frattini ha affermato che cinque paesi – Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito e Italia- starebbero considerandone una possibile implementazione. Le autorità russe, che nei giorni scorsi hanno definito Gheddafi un rottame politico, temporeggiano e richiedono agli europei e agli americani di chiamare l’imposizione di una no fly zone con il giusto di nome: azione militare.
Il dilemma di fronte al quale gli europei e gli americani si trovano, anche in considerazioni delle richieste ormai esplicite da parte dei rivoltosi di un appoggio aereo oltre a una copertura mediatica degli eventi libica ormai esplicitamente non obiettiva, è che imponendo una no fly zone si andrebbe non più a fermare un sanguinario dittatore che spara sui civili (uccisioni da verificare) ma a sostenere una fazione secessionista solo in possesso di notizie confuse e di dubbia affidabilità.
Un precedente pericoloso per chiunque, in tempi di turbolenza regionale. Nell’aleatorietà di tutta la crisi libica rimane in piedi il quesito, soprattutto per certi paesi europei, quanto ai reali danni geostrategici e geoeconomici che un aperto schieramento a favore dei ribelli potrebbero creare ai nostri interessi nazionali. Perché se il regime del colonnello dovesse scamparla, rimettendo il suo coperchio di potere su tutto il territorio libico, cosa faranno coloro che lo hanno ‘mollato’ nel momento del bisogno, Italia in testa?
Saremo allora “dead in the water” o “con il cerino in mano”, se l’inglese dispiace. Questa è l’immagine più calzante per descrivere il sentimento che proveremo per aver ceduto forniture energetiche a qualche altro paese. Perché le vaneggianti ma lapidarie parole pronunciate ieri da Gheddafi su questo punto, non lasciano spazio ad ambiguità: “Se le compagnie occidentali non dovessero ritornare, per fortuna esiste il Grande Oriente: darò tutto a russi, cinesi, indiani e brasiliani. Saranno loro a investire nel nostro paese”.
Per molti, come il ministro Frattini, si tratta solo di minacce e biascicamenti che altro non sono che “segni di debolezza”. Per il momento certe affermazioni in favore di cinesi e russi appaiono per quel che sono ovvero delle richieste di aiuto del colonnello in chiave diploamtica al fine, forse, di ottenere un qualche sostegno in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (magari per impedire risoluzioni o sanzioni stringenti come una no fly zone sulla Libia, o peggio, un vero e proprio intervento armato).
Ma non è detto che in futuro, qualora il regime del rais dovesse sopravvivere, il bluff non si trasformi in politica. Ieri la USS Kearsarge e la USS Ponce, una portaerei e una nave trasporto di mezzi anfibi statunitensi, hanno attraversato il canale di Suez in ritorno sul Mediterraneo. Il significato di questo ritorno non è chiaro, ma è certo che a Washington tutte le opzioni vengono passate al vaglio.
L’esito della “battaglia di Libia” è tutt’altro che deciso. La partita, comunque la si veda, è ancora aperta.