Annapolis, Bush e Olmert ottimisti

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Annapolis, Bush e Olmert ottimisti

Annapolis, Bush e Olmert ottimisti

27 Novembre 2007

di Fiamma Nirenstein

«Inshallah, Inshallah» annuisce correndo il grande negoziatore palestinese Sa’eb
Erakat quando lo placchiamo domenica notte: scende dall’ascensore dell’Hotel
Mandarin, dove con l’ex premier palestinese Abu Ala ha incontrato in segreto il
premier israeliano Ehud Olmert. «Inshallah, forse riusciremo a partorire un
documento comune, a parlare di Gerusalemme, di confini, di profughi, di tempi»,
sussurra, poi sorride: «Ce la facciamo? Chissà… comunque lavoriamo per questo,
sono ottimista…». «Macché, niente», sbotta dopo Ehud Yahari, noto commentatore
di cose arabe d’Israele: «Di qua esce soltanto una confusione che farà scoppiare
un’Intifada peggiore di quella precedente».

L’hotel Ritz è la dimora delle convulsioni palestinesi della vigilia: si
consumano a voce bassa, senza intrusi e curiosi. Invece, in un confuso andito
semicircolare, dove le belve scatenate della stampa israeliana sprofondate in
poltrona assieme agli uomini dei servizi israeliani sgranocchiano noccioline,
tutti urlano e saltano per acchiappare qualche delegato. Così il Mandarin, sede
della delegazione israeliana. Questi i due poli della frenesia politica che
ospita la Conferenza dell’aristocratica cittadina di Annapolis dove fu firmata
la fine della rivoluzione americana, capitale del Maryland: solo ieri sembra
essersi accorta di essere invasa da una quarantina di delegazioni, fra cui
quelle di 16 Paesi arabi, tutte a rischio terrorismo, e da migliaia di
giornalisti. Sono previsti i discorsi di Condoleezza Rice, di George W. Bush, di
Olmert, di Abu Mazen, del Quartetto, dei Paesi arabi: tutto dovrà suggellare
l’evento eccezionale che, per decisa volontà degli Usa, ospita Paesi che non
riconoscono Israele ma sono qui a parlare di pace con esso. Ieri un gruppetto di
giornalisti israeliani è persino riuscito a farsi invitare a prendere il caffè
nell’ambasciata saudita. Saud al Faisal ha fatto arrabbiare il presidente
iraniano Ahmadinejad al punto da ricevere una sua durissima telefonata:
«Vergogna. Cancellate piuttosto quell’incontro inutile e dannoso», gli ha detto.

Il successo della Conferenza, che fino a quando l’Arabia Saudita e poi la
Siria non hanno garantito la loro presenza pareva totalmente priva di
significato, è tuttora da giudicare sul lungo raggio, ma sembra essere davvero
vitale per l’amministrazione americana, che ha esercitato forti pressioni in
moltissimi incontri, visto che è in gioco il prestigio dello stesso presidente.
Ora che la questione irachena va meglio, Bush intende legare il suo lascito
storico al Medio Oriente, alla sconfitta del Jihad, inclusa quella dell’Iran, e
all’ennesimo tentativo di pace fra israeliani e palestinesi. Ieri, quando Bush
ha incontrato prima Olmert e poi Abu Mazen, la parola d’ordine è stata
«ottimismo». Di ottimismo Bush ha parlato sia con Olmert nella Sala Ovale, dove
il premier israeliano era accompagnato dal ministro della Difesa Ehud Barak e da
Tzipi Livni, sia con Abu Mazen, ricevuto da Bush dopo Olmert.

Bush ha subissato i suoi amici di sorrisi, incontri e cene perché da questa
conferenza esca qualcosa di concreto, ovvero il famoso documento comune. Per
convincerli a lavorare insieme, ha portato a cena i due contendenti domenica, e
poi li ha rincontrati di nuovo ieri. Anche Bush ha fatto i suoi commenti alla
cena offerta da Condi agli ospiti. I due si spalleggiano in un’autentica opera
di pressing. Olmert, uscito dall’incontro, ha detto che prevede un anno di
colloqui in cui si potrà parlare di tutto e si addiverrà a una conclusione
definitiva, proprio come chiedono i palestinesi. Ha aggiunto che se Hamas
%0Aaccetta le condizioni del Quartetto ritornerà a essere parte del consenso che la
unisce all’Autonomia, e quindi del prossimo Stato palestinese, che gli fa molto
piacere che la Siria intervenga ad Annapolis, e che potrà parlare di quello che
vuole, per esempio del Golan.

La Siria, che certo ha concordato con l’Iran una sua presenza di rango basso
(solo il viceministro degli Esteri e i sauditi si sono arrabbiati), è forse
l’unica che non si gioca niente e vince tutto. A sera, mentre usciva dal Ritz
con Abu Mazen verso Bush, il vice capo della delegazione palestinese Nabil
Abuznaid ci ha detto una grande verità sulla conferenza: palestinesi e
israeliani, se vogliono portare a casa qualcosa, devono pagare con un
compromesso. È vero, il documento comune ancora non c’è, ma ci sono molte ore
per farcela. Se non ci si riuscirà, non sarà finita: loro hanno di che lavorare,
devono smontare gli insediamenti, pensare a Gerusalemme… noi abbiamo
soprattutto la questione dei profughi, dobbiamo trovare un compromesso sul
numero, è chiaro. Ma occorre pazienza per arrivare a una soluzione».

Infine, non è detto che ci sarà un documento comune. Per Bush sembra si
presenti all’orizzonte un successo anti-iraniano e sull’antiterrorismo in
genere, almeno nel breve termine. Per Israele e i palestinesi il lavoro resterà
tutto da fare.
Anche perché, a Gaza, Hamas ha organizzato una conferenza
stampa con alcuni gruppi palestinesi per firmare un documento in cui si respinge
ogni concessione che Israele dovesse fare per ottenere un accordo di pace.

© Il Giornale 27/11/2007