Anno nuovo, nuovo Congresso: sarà la fine del “Obamacare”?
06 Gennaio 2011
Nuovo anno, nuovo Congresso. Il 112simo nella storia degli Stati Uniti. E’ il giorno del cambio della guardia, il giorno del ritorno del Grand Old Party nella stanza dei bottoni, dopo la traversata nel deserto degli ultimi due anni. Ma più di tutto è l’ora del Repubblicano più potente di Washington, John Boehner da ieri il neo Speaker della Camera dei Rappresentanti riconquistata nelle elezioni di medio-termine del Novembre scorso. Un Congresso ben diverso da quello con il quale ha avuto a che fare Obama a partire dalla sua elezione nel 2008. Quando il presidente riuscì a conquistare la Casa Bianca, ormai due anni fa, il Congresso era completamente nelle mani dei due leader di maggioranza Democratici, Nancy Pelosi e Harry Reid.
La rinascita dei Repubblicani é certamente più diretta conseguenza dei disastri della triade Obama-Pelosi-Reid di quanto non sia un successo del partito dell’elefante. Tra il 2008 e il 2010 il Congresso Democratico ha partorito due leggi che non sono piaciute affatto ad un’America preoccupata per una ripresa che non accenna a farsi viva. Sul tavolo degli imputati stanno il piano di stimolo anti-crisi da quasi un trilione di dollari che non è riuscito a rilanciare l’economia USA e la nazionalizzazione del sistema sanitario statunitense. Se il piano di stimolo non è cancellabile (da che mondo e mondo i soldi spesi non tornano indietro), la riforma sanitaria invece forse lo è. Infatti la parola d’ordine Repubblicana sembra essere repeal it – abrogala. Non è un caso che esista già un testo depositato dal gruppo Repubblicano per abrogare l’Obamacare.
Il primo obiettivo dei Repubblicani sarà proprio quello di trovare un modo per fare crollare il castello di carte che l’amministrazione Obama ha costruito attorno alla nazionalizzazione del sistema sanitario. In un’America spaventata per il crescente ruolo del governo federale nell’economia – prodromo di un aumento della pressione fiscale – inorridita da un debito e da un deficit alle stelle pericoloso per il patto tra le generazioni, la riforma di nazionalizzazione della sanità sembra proprio non andare giù al John Q. Citizen (il nostro Mario Rossi per intenderci). Sarà per questo che Obama, analizzato attentamente l’umore del paese dopo le elezioni di medio-termine, ha accettato l’accordo dello scorso Dicembre con la leadership Repubblicana per un prolungamento di due anni dei tagli alle tasse di Bush che costerà alle casse USA un altro trilione di dollari.
Oltre alla riforma sanitaria, i Repubblicani dovranno affrontare il nodo della spesa pubblica. Lo scorso Novembre gli elettori americani hanno principalmente premiato candidati con una filosofia e una retorica da “Stato minimo”. Si fa forte negli elettori (ed eletti) la sensazione che un bilancio pubblico finanziato principalmente a deficit e a debito – un bel pezzo del quale detenuto da paesi stranieri come la Cina – non sia più sostenibile nel lungo periodo. E questo apre la strada alla seconda parola d’ordine: smetterla di spendere e iniziare a tagliare. Con il 112simo Congresso la squadra di Boehner e degli eletti del Tea Party, si lanceranno in un programma di tagli alla spesa non risolutivo ma certamente in contro tendenza all’espansione della spesa pubblica negli Stati Uniti negli ultimi decenni. Il numero che viene dato è quello di almeno 100 bilioni di dollari in tagli. Sarà una coincidenza, ma il nuovo Majority Leader della Camera dei Rappresentanti è Eric Cantor, rappresentante dello Stato della Virginia e fondatore del programma YouCut, Tu tagli.
Dalle prossime sessioni della Camera dei Rappresentanti, si darà spesso lettura della Costituzione in aula. In questa scelta sta certamente la volontà di rassicurare quanti nel partito Repubblicano si preoccupano anche della postura degli eletti del Tea Party. E forse la lettura del “We The People…” al margine dell’approvazione dei testi legislativi è proprio quello che è: una strizzata di occhi ai molti simpatizzanti del movimento costituzionale animato tra gli altri da Sarah Palin. Ma è certamente anche un accettazione da parte della “vecchia” leadership Repubblicana – di cui il neo speaker John Boehner è espressione – che gli americani desiderino un ritorno alle origini, al wise and frugal government di cui parlava Thomas Jefferson.
E’ comunque vero che in un Congresso a controllo congiunto tra Repubblicani e Democratici, prima o poi si arriverà al compromesso su tutte le materie. E la ragione sta nel fatto che qual che sia l’iter di ogni legge alla Camera, i Democratici detengono comunque una risicata maggioranza al Senato (6 senatori di scarto), fatto salvo il potere di Obama di apporre il veto presidenziale su legislazioni che risultino “sgradite”.
Insomma a Washington tanti pensano già a domani, alle presidenziali. Un cambiamento di scenario politico quello consumatosi al Congresso con il quale Obama e la sua amministrazione hanno già cominciato a fare i conti. Per questo le truppe si riorganizzano anche nella squadra presidenziale. Di ieri la notizia che Robert Gibbs, il Press Secretary di Obama, abbandonerà presto il suo posto per occuparsi della campagna elettorale del Presidente. Se tutti ormai pensano al 2012, è corretto affermare che comunque vada, da ieri i Repubblicani hanno un capo a Washington, aspettando un (o una) leader Repubblicano che sfidi Barack Obama nel 2012.