Piuttosto che lambiccarsi su nomi sempre più improbabili, il governo farebbe bene a ribattezzare i suoi provvedimenti sempre allo stesso modo: “decreto Antonio Lubrano”. Nel senso che ogni volta nel leggerli, per riprendere il celebre tormentone dello storico conduttore Rai, la domanda sorge spontanea: ci fanno o ci sono? Più precisamente: non sanno cosa scrivono o lo sanno fin troppo bene ed escogitano apposta misure di cui nessuno o quasi riuscirà ad avvalersi?
Da quel che se ne sa, il “decreto rilancio” (finora una realtà virtuale, nel senso che per reperire il testo ufficiale fra un po’ toccherà chiamare “Chi l’ha visto”) non fa eccezione. E la prova eclatante sta nella norma-bandiera annunciata ai quattro venti come la prova della vicinanza dell’esecutivo alle imprese messe in ginocchio dalla crisi pandemica: il contributo a fondo perduto.
Un piccolo riassunto per quanti si fossero stancati di inseguire le anticipazioni. Se nel tragitto dal Consiglio dei ministri alla Gazzetta ufficiale non ci saranno modifiche sostanziali per ripensamenti o mancanza di coperture, il provvedimento dovrebbe stanziare sei miliardi per aiuti alle attività d’impresa e di lavoro autonomo che nel 2019 abbiano registrato un fatturato massimo di 5 milioni di euro. In base al sistema di calcolo l’ammontare non sarà un granché ma, al netto del labirinto burocratico da attraversare per giungere a destinazione e dei tempi che si preannunciano non brevi, sempre meglio del niente visto finora.
Peccato che per l’accesso alla misura di sostegno vi sia una clausola: l’impresa nel mese di aprile 2020 dovrà aver subìto un calo dei ricavi per almeno un terzo rispetto al periodo di riferimento. E qui viene il bello. Come periodo di riferimento rispetto al quale parametrare la perdita, infatti, la premiata ditta Conte&Gualtieri ha assunto il mese di aprile dello scorso anno. Una mossa geniale che di fatto taglia fuori dalla possibilità di richiedere il contributo molte attività stagionali, e ne lascia numerose altre in balìa di fattori del tutto casuali.
Quale gestore di struttura balneare, ad esempio, potrà mai accedere al fondo perduto se nel mese di aprile i lidi sono chiusi e dunque il fatturato rispetto al quale calcolare le perdite è pari a zero? Quale albergo di alta montagna potrà sperare di ottenere il bonus se ad aprile la stagione invernale è già finita e quella estiva non è ancora cominciata?
Su altri fronti, una roulette. Basti pensare all’incidenza di alcune consuetudini sull’andamento dei consumi: nelle aree d’Italia in cui la celebrazione di comunioni e cresime (quest’anno sospese) è tradizionalmente concentrata ad aprile, rientrare nel parametro per le attività collegate ai festeggiamenti sarà matematicamente certo. Laddove le cerimonie si celebrano a maggio, chissà.
Già immaginiamo l’obiezione: le attività stagionali che in questo periodo sono chiuse, lo erano lo scorso anno ma lo sarebbero state ogni caso anche quest’anno, per cui nel loro caso ad oggi non si può parlare di perdite.
Vogliamo tuttavia sperare che nessuno, tra Palazzo Chigi e via XX settembre, oserà appellarsi a una simile castroneria. Il discorso potrebbe infatti avere un qualche fondamento se il meccanismo del contributo a fondo perduto fosse proposto con cadenza mensile dall’inizio della pandemia fino alla fine delle sue conseguenze economiche. Poiché sappiamo bene che non è così – e anche se non lo sapessimo lo dimostrano i fatti, dal momento che il decreto marzo non contemplava aiuti di questo tipo, il decreto liquidità prevedeva solo garanzie (farlocche) per prestiti da restituire, il decreto aprile è diventato decreto maggio e si è mangiato l’intero scostamento di bilancio – è evidente che il governo ha fatto una fesseria. Ad esser buoni un marchiano errore; ad essere realisti uno stratagemma intenzionale per limitare di molto la platea dei potenziali beneficiari del contributo e risparmiare quattrini. Un po’ come la sospensione degli adempimenti fiscali all’inizio del lockdown, decretata quando i mandati di pagamento erano in gran parte già stati inoltrati.
Ulteriore indizio della malafede è la semplicità della soluzione alternativa: per consentire su larga scala l’accesso alla misura di sostegno, sarebbe bastato prendere come parametro di riferimento non un mese specifico ma il fatturato annuale del 2019 diviso per dodici, e cioè per il numero dei mesi dell’anno. Se ci arriviamo noi, che non abbiamo frequentato né le buone scuole né i salotti adusi ai nostri governanti, è difficile che non ci potessero arrivare loro. E invece se ne sono usciti con la supercazzola di aprile. Forse è per questo che, pur essendo arrivato quasi a giugno, col nome di aprile ci avevano chiamato anche il decreto.