Argentina vs Messico, Maradona insegue un altro pezzo di eternità
27 Giugno 2010
Ha tempestato il ritiro d’un misto di citazioni di Jorge Luis Borges e Obama: dallo "Yes we can" made in U.S.A. al borgesiano "Sueña que puedes y podrás". La fantasia al potere di sessantottiana memoria trova la sua più alta espressione calcistica della storia nella Selecciòn Argentina comandata, difesa ed osannata dall’idolo d’una intera nazione. Diego Armando Maradona bacia i suoi tutti alla fine d’ogni partita e non smette mai di ripetere che "con questi giocatori è tutto facile". Tre vittorie in tre gare nel girone, l’albiceleste vola, e l’onta mediatica del "Que la chupen y que la sigan chupando" s’allontana partita dopo partita. Fiera e spavalda, la Seleccion non può non considerare solo uno sparring partner verso la consacrazione il Messico di Aguirre.
Argentina-Messico vale l’ottavo di finale della Coppa del Mondo tra la seconda e la terza economia sudamericana. Col Brasile che le guarda dal gradino più alto del podio economico-calcistico. La futura quinta potenza mondiale (previsione per il 2050 di Goldman Sachs) contro i gauchos dall’attacco maravilla. Entrambi membri del Mercosur, l’Argentina dalla vocazione agricola e continentale, il Messico che invece ha lo sguardo puntato verso Nord: la frontiera statunitense frutto di guerre e perdite territoriali nell’800 ha adesso le sembianze d’un paradiso economico che porta il nome di NAFTA, l’area di libero scambio tra Messico, States e Canada. Col beneplacito dell’amministrazione di Washington, che ogniqualvolta l’Opec alza i prezzi del greggio si rivolge al neocugino messicano chiedendogli d’aumentare la produzione delle sue cospicue riserve di greggio che tengono floridamente in vita l’economia de "el Tri".
La patria del Che contro quella di Villa e Zapata, la rivoluzione messicana dei primi del ‘900 ha oggi il suo restyling nel Subcomandante Marcos, L’EZLN e la sua lotta contro il governo centrale di Città del Messico. Dal 1° dicembre 1993, data simbolica dell’entrata in vigore del Nafta: una guerriglia che solo i poco attenti attribuiscono alla contrapposizione tra economia locale e globale: le minoranze del Chiapas (l’8% della popolazione, ma più d’un terzo nella regione) temono molto più prosaicamente l’ingerenza statunitense nello sfruttamento petrolifero delle ricche riserve della Selva Lacandona… Ossigeno, visto l’altalenante andamento economico del Paese. Non dissimile da quello argentino: due mercati distrutti e risorti da due tremende crisi, nel 94’ il Messico, nel 2001 l’Argentina, hanno rialzato la testa ed adesso viaggiano a ritmi di crescita in prospettiva tra i più incoraggianti del continente. Distese infinite di terreno fertile, una citta ogni 240mila kmq (in Belgio ve n’è una ogni 5.600), gli immensi campi di mais e granturco argentini approdo per quasi un secolo per un milione di nostri connazionali oggi sono tra i primi e più apprezzati al mondo nell’allevamento di bovini ed ovini. Che fanno da contrappasso ad un Messico suburbano.
La diciassettesima contro la settima del ranking Fifa, il pil appaiato a 10mila dollari contro gli 8.200 degli argentini per due repubbliche federali che come tutto il Sudamerica guardano al calcio come rivalsa nazionale: "el Tri" del bentornato Aguirre dopo la nefasta parentesi svedese-ericksoniana, contro l’Argentina del Pibe. Decisive le bocche di fuoco d’attacco albicelesti del "compromesso storico" Real-Barça Higuaìn-Messi, l’immortale Martin Palermo, a 36 anni al suo primo mondiale, Carlitos Tevez sfregiato sul volto da bambino, el Principe Milito panchinaro. Troppa grazia per gli esteti offensivisti, un incubo per Marquez e compagni. L’individualismo argentino contro il gruppo aguirreiano delle veloci ripartenze del "bimbo" Giovani Dos Santos in attacco, i ripiegamenti difensivi della stellina in odor di Lazio Barrera, l’eterno idolo del popolo Cuauhtémoc Blanco e la sua Cuauhtemiña. In un recente sondaggio il 90% dei messicani crede nella semifinale dei campioni del mondo under 17 cinque anni fa.
"E’ meglio morire in piedi che vivere in ginocchio", il motto di Emiliano Zapata fatto proprio da Aguirre, che darà battaglia fino all’ultimo. All’inferno e ritorno, più d’una volta Maradona è risorto dalle sue ceneri. Meglio dei mondiali non c’è nulla per un calciatore, figuriamoci per lui…