Armi al nemico ma involontariamente: da Adua alla War on Terror

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Armi al nemico ma involontariamente: da Adua alla War on Terror

28 Febbraio 2009

Il 1° marzo 2009 ricorre il 113° anniversario della sconfitta italiana di Adua, in Abissinia, quando nel 1896 si svolse la più grande battaglia coloniale di tutti i tempi. La sconfitta per mano abissina fu cocente, tanto da far cadere il governo che in Italia, si sa, cade solo per motivi di politica interna. I soldati italiani si batterono da leoni con dedizione e disciplina, nonostante l’ineluttabilità della sconfitta in una battaglia contro forze soverchianti. Ma il particolare più tragicamente ironico è che le munizioni che gli abissini usarono per massacrare gli italiani furono fornite al negus, nei mesi precedenti, proprio dall’Italia. Da allora, la storia ci ha riservato altri esempi di cessione di armi ad alleati che poi si sono rivelati avversari o di armi che poi hanno comunque finito per ritorcersi contro chi le aveva cedute. Dopo quello di Adua, ecco altri quattro esempi.

Durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan la CIA fornì ai mujaheddin anticomunisti centinaia di sistemi d’arma controaerei spalleggiabili, i micidiali missili Stinger. Con la loro capacità di colpire qualsiasi oggetto volasse entro un raggio di 8 chilometri ad un’altezza fino a 3.000 metri, gli Stinger si rivelarono fin dall’inizio un incubo per gli elicotteri sovietici. Il giorno stesso del loro esordio nello scenario afghano, nel 1986, questi missili distrussero al primo colpo tre elicotteri tipo “Hind”, e da allora in poi non si fermarono più, determinando un vero e proprio punto di svolta nella vicenda dell’occupazione sovietica. Quando l’armata rossa fu costretta a lasciare, sconfitta, il suolo afghano, gli elicotteri abbattuti erano ben duecentosettantacinque. Ahmed Massud, capo guerrigliero, dichiarò che due erano state le armi fondamentali a disposizione dei mujaheddin per battere i sovietici: il Corano e gli Stinger.

Dopo il ritiro dell’Unione sovietica il governo USA si diede da fare per recuperare, comperandoli dopo averli regalati (quando si dice il bernoccolo degli affari), un certo quantitativo di Stinger che erano stati consegnati alla guerriglia, ma molti –circa quattrocento- rimasero in Afghanistan nelle mani dei talebani, che qualche anno dopo conquistarono il potere. Inoltre, sedici esemplari finirono nelle mani dell’Iran, che ne acquisì quindi la tecnologia. Gli americani non si preoccuparono eccessivamente degli Stinger rimasti a Kabul e sulle montagne afghane, fiduciosi del fatto che mai sarebbero stati impiegati contro l’America. Ma l’illusione durò fino a quando, nel 2001, gli statunitensi, all’indomani degli attacchi dell’11 settembre, non si trovarono essi stessi implicati in prima persona proprio in Afghanistan con l’operazione “Enduring Freedom”. A quel punto erano gli elicotteri e gli aerei americani a finire nel mirino di sistemi d’arma forniti dagli USA stessi, e se i danni causati dagli Stinger nelle mani del mullah Omar e di Osama Bin Laden (che ormai non era più sul libro paga della CIA) non furono gravi, lo si deve alla campagna aerea che tese prioritariamente a cancellare la difesa aerea talebana. Ma di almeno un centinaio di questi sistemi d’arma non si è più saputo nulla, e i talebani nel sud dell’Afghanistan e nelle zone tribali del Pakistan ancora oggi sono tutt’altro che sconfitti. 

Per chi non dovesse ricordare l’affare Iran-Contras, va rammentato brevemente che si trattava, negli anni ’80 dello scorso secolo, del finanziamento americano della guerriglia in Nicaragua, che si batteva contro il locale governo comunista, mediante i fondi ricavati dalla vendita di armi all’Iran. Ronald Reagan era appena stato eletto alla Casa Bianca e, una volta ricevuto dal Congresso il rifiuto a stanziare legalmente fondi per la guerriglia in Nicaragua contro un governo democraticamente eletto, le cose procedettero per via illegale. Era il 1985, erano i tempi in cui diciassette americani e settantacinque altri cittadini occidentali erano prigionieri a Beirut degli Hezbollah filoiraniani, un gruppo combattente sciita istituito da Teheran durante la guerra con l’Iraq e poi trasferito in Libano in funzione anti-israeliana. Molti ostaggi venivano brutalmente torturati e uccisi, come ritorsione per l’invasione israeliana del Libano, che era stata facilitata dagli USA.

Nel corso del 1985 Israele, agendo per conto di Washington, vendette all’Iran 500 missili controcarri TOW, in cambio del rilascio di sei ostaggi americani. L’anno seguente il tenente colonnello Oliver North, del National Security Council, escogitò un complesso disegno con cui all’Iran venivano vendute armi (fra queste, un altro migliaio di missili anticarro TOW) direttamente, e non più tramite Israele, e come contropartita Teheran faceva liberare dagli Hezbollah altri ostaggi in Libano e forniva denaro che veniva poi usato dagli americani per supportare la guerriglia in Nicaragua. Ma non tutti gli aerei da trasporto della CIA la fecero franca: uno di questi, carico di armi e con tre emissari americani a bordo, il 5 ottobre 1986 venne abbattuto dai governativi in Nicaragua. Come al solito, ci si mise di mezzo la stampa, che perfidamente collegò la fornitura di armi ai guerriglieri in Nicaragua con l’inaspettata liberazione di tre ostaggi americani in Libano. Ne seguì una vicenda di smentite e controsmentite che terminò il successivo 13 novembre quando Ronald Reagan in persona, in una trasmissione televisiva, ammise di avere autorizzato lui stesso la vendita di armi all’Iran, pur dichiarando di non sapere nulla degli ostaggi. Ma il particolare più amaramente ironico della vicenda emerse nell’estate del 2006, dopo vent’anni dall’affare Iran-Contras, quando si scoprì che fra le migliaia di missili controcarro sparati dagli Hezbollah contro i carri armati israeliani, c’erano anche centinaia di missili americani TOW. Erano quelli ceduti all’Iran dagli USA e da Israele stesso a metà degli anni ’80: i cartelli scritti in inglese sugli imballaggi trovati ancora intatti nelle postazioni degli Hezbollah e nei depositi sotterranei non lasciarono dubbi.

Un recente esempio di armi cedute involontariamente al nemico viene dall’Iraq. L’ultima cosa che gli americani vorrebbero fare in Iraq è fornire armi alla guerriglia. Eppure sembra che questo sia esattamente ciò che si è verificato nel 2006, perché a causa di una inspiegabile svista, le rigide norme del Pentagono sul trasferimento di materiale di armamento non sono state applicate al caso irakeno. E così si è verificato che delle oltre 500.000 armi (fucili, mitragliatrici, lanciagranate,…) consegnate dagli Stati Uniti ai ministeri irakeni della difesa e dell’interno allo scopo di armare con equipaggiamenti moderni le forze armate e quelle di polizia, i numeri di matricola regolarmente registrati sono stati poco più di 12.000. E le altre 488.000 armi? Benché pagate dai contribuenti americani con un fondo denominato “Soccorso e ricostruzione in Iraq”, sono finite sul mercato nero. E dal mercato nero alla guerriglia il passo è breve. Chi si è reso conto dell’errore è stato l’ispettore generale del citato fondo, che nel mese di ottobre 2006 ha scoperto che il Pentagono non soltanto si è scordato di registrare i numeri di matricola delle armi, ma le ha fornite ai ministeri irakeni senza parti di ricambio e senza manuali di uso e manutenzione. Ma questo è il meno. Il peggio è che parecchie di quelle armi sono servite sicuramente per ammazzare soldati americani.

Ma non è tutto. A metà febbraio 2009 si viene a sapere che migliaia di armi portatili americane come fucili automatici d’assalto e lanciagranate sono finiti nelle mani dei Talebani e di Al Qaeda. A denunciare il fatto non sono state queste due organizzazioni “beneficiarie” di tanta generosità, bensì il GAO, Government Accountability Office, una sorta di corte dei conti americana adibita al controllo dettagliato delle spese governative. Cos’è accaduto? Un inconveniente fotocopia di quello di tre anni prima in Iraq: per superficialità e carenza di controlli, delle 242.000 armi portatili cedute dall’amministrazione USA alle forze di sicurezza afghane fra il dicembre 2004 e il giugno 2008, il Pentagono ha perso le tracce di 87.000 pezzi. Quante di queste armi saranno finite nelle mani degli insorti? Se non tutte, una buona parte. E qualcuna di esse sarà stata sicuramente usata contro i soldati americani.