Articolo 18, per i consulenti del lavoro il nuovo arbitrato non è incostituzionale

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Articolo 18, per i consulenti del lavoro il nuovo arbitrato non è incostituzionale

24 Marzo 2010

E’ un mondo diviso in due quello che gira attorno al nuovo «arbitrato» su lavoro e licenziamento. Da una parte la Cgil, nella solita e stonata voce di protesta per “una norma incostituzionale” che “viola i diritti dei lavoratori”. Dall’altra parte tutti gli altri: gli altri sindacati, le associazioni delle imprese, eccetera, eccetera, che benedicono le nuove disposizioni introdotte dal Collegato lavoro. Chi avrà ragione? E, prima ancora, cos’è quest’arbitrato? Cerchiamo di capirci di più.

Il Collegato lavoro è un ricco provvedimento di riforma del lavoro, approvato in via definitiva dal Senato il 3 marzo scorso (è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Una legge, dunque: che significa un provvedimento normativo approvato dal Parlamento (che fa le leggi, infatti) e non dal Governo (che può legiferare su incarico del Parlamento mediante decreti legislativi). Con le tante novità il Collegato ha pure (1) modificato la disciplina su arbitrato e conciliazione in materia di lavoro e (2) introdotto una speciale “clausola compromissoria” sull’impugnazione del licenziamento.

L’arbitrato è una via per la soluzione delle liti tra lavoratore e datore di lavoro alternativa al processo. Datore di lavoro e lavoratore, congiuntamente, possono preferire di evitare il ricorso a un giudice (cioè la via del processo) rimettendo la soluzione della controversia alla decisione di un “arbitro”. Quattro le ipotesi praticabili: l’arbitrato amministrativo (davanti alle direzioni provinciali del lavoro); l’arbitrato ordinario (davanti a un collegio arbitrale nominato dalle parti); l’arbitrato in sede sindacale (secondo la disciplina prevista dai contratti collettivi); l’arbitrato presso le camere arbitrali delle Commissioni di certificazione.

La “clausola compromissoria” introdotta dal Collegato consiste nella possibilità, per lavoratore e datore di lavoro, di fissare in sede di stipulazione del contratto di lavoro (cioè all’atto di assunzione) di devolvere ogni (eventuale) futura controversia (compresa quella sul licenziamento illegittimo) a un arbitro e non al giudice del lavoro. Si tratta dunque di un vero e proprio “impegno” di natura contrattuale privata. E’ prevista una particolare procedura per la sottoscrizione di questo patto, al fine di “proteggere” la parte meno forte dal punto di vista della contrattazione (nel pattuire), cioè il lavoratore. Infatti, al momento dell’assunzione il lavoratore potrebbe essere indotto ad accettare la clausola compromissoria per ottenere il posto di lavoro.

Per evitare questa “disparità” di posizione tra datore di lavoro e lavoratore, il Collegato ha subordinato la validità della clausola a due condizioni: primo che la praticabilità sia stata autorizzata (e disciplinata) dalla contrattazione collettiva (se questa non decide, allora interviene il ministero del lavoro con proprio decreto ma sempre e comunque dopo avere “sentito le parti sociali”); secondo che la sottoscrizione della clausola compromissoria sia stata certificata dalle Commissioni di certificazione (è l’organismo oggi deputato a certificare anche i contratti di lavoro).

Arriviamo così al dunque: queste nuove norme del Collegato sono incostituzionali? E (peggio) davvero riducono le tutele dei lavoratori tra cui il fatidico articolo 18, come sostiene la Cgil? Le risposte sono entrambe negative. Tra le tante soluzioni arrivate anche indirettamente alle domande – la Cisl: «le proteste della Cgil sono solo un modo per sollevare altre polemiche perché l’articolo 18 non è toccato e si garantiscono i diritti dei lavoratori»; la Uil: «non è alcuna autorizzazione preventiva al licenziamento, al contrario rappresenta una opportunità in più proprio per i lavoratori che, da sempre, non sono tutelati dall’articolo 18» – l’ultima è dei Consulenti del lavoro per il tramite della Fondazione Studi, che ha espresso un Parere ad hoc (il n. 8 del 22 marzo 2010). La Fondazione non ha usato mezzi termini per affermare che “il nuovo arbitrato non è incostituzionale”, provando la fondatezza di tale affermazione.

Il nuovo arbitrato non è incostituzionale perché rimane in ambito contrattuale privato e, soprattutto, perché si basa sulla «volontarietà» delle parti (datore di lavoro e lavoratore). Tutte le ipotesi prima indicate di arbitrato, infatti, trovano giustificazione e procedibilità solo e soltanto se c’è volontà concorde del lavoratore e del datore di lavoro di ricorrere a questa via alternativa al giudice del lavoro (al processo). Lo stesso vale nell’ipotesi di introduzione della clausola compromissoria nel contratto di lavoro: la scelta di preferire un arbitro al giudice del lavoro è del tutto volontaria, e la posizione del lavoratore viene garantita dai sindacati e dalle Commissioni di certificazione.

Quanto infine alle tutele dei lavoratori, non è nemmeno vero che le nuove norme conducano ad una loro generalizzata riduzione e in particolare all’aggiramento dell’articolo 18. Infatti, non è escluso che anche l’arbitro, dopo una rigorosa valutazione delle ragioni giustificatrici del licenziamento (impugnato), possa adottare una sanzione di tipo “reale” con la reintegrazione nel posto di lavoro e non soltanto di tipo risarcitorio.