Aspettando il Cav-Godot, il Pdl prova a ripartire dai contenuti

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Aspettando il Cav-Godot, il Pdl prova a ripartire dai contenuti

07 Ottobre 2012

Di chi è il Pdl? Azzerare tutto e poi? Serve davvero spacchettare un partito, ‘licenziare’ una classe dirigente e correre con una lista civica nazionale composta da un drappello di fedelissimi pasdaran (entusiasti perché forse solo così potrebbero contare in un posto in Parlamento)? In attesa che Berlusconi chiarisca – a meno che non sia l’ennesimo esercizio del suo ‘divide et impera’ – nel Pdl qualcosa si muove. Non sui contenitori, per dirla con Quagliariello, ma sui contenuti.

Venerdì Il Giornale titolava: Berlusconi lascia il Pdl. Con un editoriale il direttore Sallusti invitava il Cav. a “sbaraccare tutto”, a liberarsi dei colonnelli per lavorare all’unione dei moderati. Il giorno dopo il titolo del quotidiano di famiglia era: “Berlusconi vuole rifare il Pdl ma restare al timone”. Nel primo caso, c’era l’effetto summit a Palazzo Grazioli dove il Cav. avrebbe detto ai suoi di essere stufo di un partito in affanno, con una neanche troppo sottile critica al suo delfino, Angelino Alfano che i rumors di Palazzo e i maligni di partito, adesso vorrebbero retrocesso a “seconda scelta”. Nel secondo, la correzione di rotta operata da Bonaiuti. Ma il senso delle cose sotto le insegne pidielline non cambia: il Cav. è stufo e pensa a qualcosa di nuovo e più competitivo elettoralmente. Già, il nuovo. Parola stra-abusata di questi tempi, sinonimo di giovanilismo nella sua accezione più negativa, ma anche di un’aspettativa di rinnovamento profonda della politica da parte di un elettorato deluso e distante. Non è un caso se Renzi, con parole chiare e programma alla mano, gira l’Italia e a sentirlo non vanno solo quelli del Pd.

La gente ha bisogno di tornare a credere in qualcosa dopo gli scandali che infangano la politica e alimentano demagogia e populismo. C’è bisogno di facce nuove, di tornare a scegliere gli eletti, di ritrovarsi attorno a valori, identità e, soprattutto, idee concrete su come portare il Paese fuori dalla crisi. Eppure per eliminare l’antipolitica (questa sì) dell’ultimo Fiorito di turno non si può buttare via tutto e tutti. Del resto, non è interessante e, anzi, è piuttosto noioso il dibattito sull’ipotesi di un Pdl-spezzatino, o di una non meglio precisata lista del Cav. a fronte magari di quella ipotetica  dei colonnelli finiti sotto accusa. A cosa serve? Sarebbe la massima espressione del ‘tafazzismo’. Caos al caos.

Questo non significa che il Pdl non si debba auto rinnovare, ma neanche che venga bombardato, tanto per citare il ragionamento di Fabrizio Cicchitto che nell’intervista a La Stampa mette in chiaro alcuni concetti parlando a nuora (Pdl) perché suocera intenda (Berlusconi). Dice il presidente dei deputati:  ben vengano volti nuovi e un nome nuovo e tuttavia “poi bisogna prendere i voti”. E quali sono oggi i voti per il Pdl e il centrodestra?  Sono la somma di quello che porta Berlusconi ma sono anche “il frutto del lavoro sul territorio di deputati, senatori, consiglieri regionali e comunali e dei giovani del movimento giovanile”. E se il Lazio-gate ha squassato tutto, non è che per cancellare Fiorito si debba cancellare il partito.

Messaggio per il Cav.. Come il passaggio successivo del ragionamento nel quale Cicchitto dice che da ‘mesi aspettiamo Godot’ e non si può restare in attesa ‘fino a cinque giorni prima delle elezioni’. Berlusconi o Alfano? Non è quello il problema purchè “si decida subito”. Perché – osserva Cicchito interpretando il pensiero di molti esponenti pidiellini – il punto vero è “riprendere l’iniziativa sul piano politico e definire la leadership: la mancanza di questi elementi ci pesa moltissimo”. Infine una sottolineatura sulla metodologia del Pdl 2.0, non certo irrilevante. Il nuovo corso – scandisce Cicchitto – deve essere accompagnato da regole: “Basta con le logiche verticistiche e la cooptazione. Facciamo votare gli iscritti”. A ben guardare, tutto l’opposto di ciò che sono stati Forza Italia prima e il Pdl dopo.

Regole e contenuti. Se per le prime occorrerà aspettare il 2 dicembre (data che richiama simbolicamente la manifestazione di piazza San Giovanni con un milione di persone) quando Berlusconi dovrebbe lanciare il rinnovato progetto politico, sui contenuti qualcosa si muove.

Si ri-parte dal “Manifesto per il bene comune della Nazione”, piattaforma valoriale stilata dai neoconservatori Gaetano Quagliariello e Maurizio Gasparri – vicepresidente e presidente dei senatori Pdl – insieme a Maurizio Sacconi, Gianni Alemanno, Roberto Formigoni e Maria Stella Gelmini, attraverso le loro fondazioni. La premessa (e la sostanza politica) la esplicita Quagliariello quando avverte che “l’unità dei moderati si costruisce sui contenuti e sui programmi, altrimenti all’ideologia si rischia di contrapporre qualcosa di ancora peggiore, cioè un dibattito politico basato su sigle, formule e contenitori”. L’obiettivo del Manifesto è favorire un confronto politico-culturale sulla base di idee e creare un network tra diverse fondazioni del centrodestra, a partire da Magna Carta e Italia Futura che hanno presentato il dossier un mese fa alla Summer School di Frascati (scuola di formazione politica). Un’iniziativa, aggiunge Sacconi per dire no a “Cgil, laicisti e centralisti”. Cicchitto apprezza perché si tratta di “uno stimolo per me e per altri amici, fra cui Brunetta e Cazzola, per stilarne un altro di impostazione riformista e liberal socialista”. Al Manifesto per il Bene Comune aderisce anche l’ex ministro Giorgia Meloni, convinta che il Pdl debba ripartire dalle idee, dai valori e dai contenuti. C’è poi il Manifesto dei ‘formattatori’ che invocano, tra l’altro, primarie a tutti i livelli e – alquanto semplicisticamente – al grido di: largo ai giovani, fuori i vecchi.

Al netto di tutto, l’impegno e, pare di capire la priorità, sulle cose da fare rappresenta l’unico modo concreto per lavorare all’unità del centrodestra, offrire una proposta credibile, rimettere al centro la politica (quella vera) e tornare tra la gente (gli elettori) che chiede risposte chiare. Ora, il punto – e l’auspicio – è: fare in modo che chi studia il contenitore più competitivo in una campagna elettorale strategica per il paese dei prossimi cinque anni, parli, si incontri e faccia sintesi con quanti pensano che i contenitori poi vadano riempiti. Di contenuti, appunto.