Aspettando Trump: come il Don rivoluzionerà la politica estera americana
01 Gennaio 2017
di Daniela Coli
Obama sfoga la frustrazione per la Siria espellendo diplomatici russi, nell’illusione di provocare una nuova Guerra Fredda, ma Trump può eliminare quando vuole le espulsioni di Obama, un politico ormai fuori controllo, tanto da essere subito preso in giro dal divertente tweet dell’ambasciata russa di Londra, “Barack lame duck”, Obama anatra zoppa, pubblicato da quasi tutti i siti dei giornali britannici.
La riposta di Putin e il commento di Trump hanno coperto di ridicolo il presidente più ossequiato della storia americana. Chi ancora lo sostiene in America e in Italia non si rende conto quale crisi stia attraversando l’Occidente euroamericano. Trump entra in carica il 20 gennaio, ha spalle solide, un partito compatto, come si è visto nel voto dei grandi elettori, e un consigliere maestro di realismo politico come Henry Kissinger, che lo ha lodato pubblicamente e che va a fagli visita alla Trump Tower, come informa l’Independent del 27 dicembre.
Kissinger ha 93 anni ed è ancora molto dinamico, conosce Putin e consiglia Trump. Quest’ultimo ha nominato segretario di Stato Rex Tillerson, amico di Putin, e sembra pronto ad accettare l’annessione della Crimea alla Russia per prevenire una nuova Guerra Fredda.
Niall Ferguson, biografo e buon amico di Kissinger, intervistato dall’importante periodico giapponese Nikkei (il gruppo Nikkei ha comprato il Financial Times nel 2015), spiega che Trump rivoluzionerà la politica estera americana. Saranno eliminate istituzioni del tempo della guerra fredda, finita ormai da 25 anni, come la Nato, ma anche l’Onu, ormai obsoleta, anche se non potrà essere soppressa immediatamente. Trump vuole fermare l’immigrazione, riportare il lavoro in America, ridimensionare la Cina. Provvedimenti necessari a risollevare gli “States” in crisi.
Gli Stati Uniti chiusero con l’immigrazione cinese nel 1882 e non accadde niente, ma allora c’erano gli imperi, adesso è tutto più complicato, e occorre un’azione graduale. Trump chiuderà anche con la politica di Bush e Obama in Medio Oriente. L’accordo tra Russia, Turchia e Iran sulla Siria indica il fallimento di Bush e di Obama in Medio Oriente, ma anche dell’Europa, da dove sono partiti i foreign fighters andati a combattare in Siria.
Molti commentatori europei (si veda la reazione stizzita del francese Gill Kepel sul Corriere) non hanno capito che la Russia ha vinto, perché ha creato una rete di rapporti e alleanze politiche ed economiche in Medio Oriente. Soprattutto, di fronte a un’America che attaccava paesi con cui era alleata o provocava rivolte contro statisti che avevano sostenuto gli Stati Uniti – dall’Iraq all’Egitto di Mubarak – Putin è apparso come l’unico leader affidabile. Oltre al fatto – va sottolineato – che è un po’ difficile imporre agli arabi “valori” come il gay marriage, “valori” che hanno fatto scendere in piazza i cattolici nella laicissima Francia.
La vittoria della Siria rassicura Libano e Giordania, che sarebbe stati travolti dalla disintegrazione della Siria. Così come rassicura l’Egitto di Al Sisi, che da tempo ha ripreso i rapporti con la Russia (il presidente egiziano ha subito telefonato a Trump per augurargli buon lavoro). C’è anche l’Iran tra i vincitori ed è possibile che Trump sorvoli su Teheran.
Per l’Europa obamiana, infine, non è un bel momento. C’è chi, disperato, si aggrappa all’Arabia saudita: forse ai generali di Trump verrà voglia di vendere armi all’Arabia saudita impegnata in Yemen, il “Vietnam saudita” come l’ha definito Alberto Negri mesi fa. Ma di fronte alla campagna di Boris Johnson per le stragi di civili in Yemen e la richiesta a May di non vendere armi ai sauditi, Riad potrebbe abbandonare lo Yemen.
La fiducia nella Russia di Putin si evince anche dalla constatazione che il Qatar non ha dato soldi agli italiani di Mps, ma ha investito più di 11 miliardi per comprare il 19,5% di azioni di Rosneft, il gigante petrolifero russo, mentre Eni ha ceduto a Rosneft il 30% del giacimento Zohr in Egitto. Repubblica e il Corriere fanno i sore loser, perché è finito l’ordine uscito dalla Seconda Guerra mondiale. Ma se ne faranno una ragione, come il patetico Obama.