Aspettiamo le elezioni provinciali per capire dove va l’Iraq
20 Novembre 2008
La sera del 4 novembre siamo rimasti inchiodati davanti ai teleschermi perché l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, nel mondo globalizzato, ha un impatto fondamentale su tutto il pianeta. Le aspettative sul nuovo presidente sono altissime specialmente nei teatri caldi del Medio Oriente, Iraq in testa. Il futuro di Baghdad sarà fortemente influenzato dalle decisioni che Obama deciderà di prendere nei prossimi mesi. Ma il destino degli iracheni sarà determinato, ancor prima che dalle scelte di Obama, dal voto alle provinciali che si terranno entro la fine del 2008.
Questo passaggio elettorale, insieme alle successive elezioni nazionali previste verso la fine del 2009, rappresenta una tappa fondamentale nella stabilizzazione del paese. E’ un’occasione unica per integrare importanti gruppi etnici, religiosi e sociali, nel processo politico dal quale fino a oggi sono stati esclusi. In particolare quelli che non hanno partecipato alle elezioni del 2005, come i sunniti nelle province di Anbar, Salah al-Din, Diyala e Ninawa, o gli sciiti sadristi nel sud dell’Iraq.
Le elezioni provinciali sono un’opportunità per istituzionalizzare il ruolo di alcuni gruppi locali che si sono distinti nella lotta contro i terroristi di Al-Qaeda e hanno contribuito fortemente alla stabilizzazione del paese: i “Sons of Iraq”, i “Sunni Awakening”, i consigli tribali. Questa integrazione è fondamentale per consolidare il processo di riconciliazione nazionale in atto ed è l’unica via che condurrà alla pacificazione definitiva del paese.
Naturalmente c’è anche il rovescio della medaglia ed esiste la possibilità che i risultati elettorali allontanino nuovamente alcune di queste fazioni dal processo democratico, o creino nuove spaccature tra il governo centrale e le regioni (lo stesso assetto statale del paese potrebbe essere influenzato dai risultati elettorali in chiave più o meno federalistica). Resterà esclusa dalla tornata elettorale l’importante e ricca provincia petrolifera di Kirkuk (uno dei centri del governo regionale curdo che si estende tra Irbil, Dahuk e Sulimanya). Lo status della regione rimarrà invariato fino al 31 marzo del 2009, quando un’apposita commissione parlamentare dovrà presentare una proposta di soluzione del problema.
Gli osservatori internazionali dovranno concentrarsi su quattro province: Diyala, Baghdad, Basra e Nineveh. A Baqubah, il capoluogo della provincia di Diyala, le case sono costellate di fori di proiettile che ricordano il voto del gennaio 2005. I sunniti rimasero a casa e boicottare le elezioni regalando la vittoria agli sciiti. Oggi quella scelta viene giudicata un grosso errore, perché contribuì ad alimentare le tensioni e le violenze, lasciando senza adeguata rappresentanza una parte importante della popolazione. I gruppi sunniti, per esempio i “Sons of Iraq”, hanno deciso di partecipare alla prossima tornata elettorale con l’obiettivo di riequilibrare il risultato del 2005 e di svolgere un ruolo politico attivo nella ricostruzione del paese.
Diverso è il discorso per Basra, dove si combatte una guerra intestina tra due movimenti sciiti: Dawa, il partito del Premier Al Maliki, e l’ISCI (Islamic Supreme Council of Iraq) di Abdulaziz al-Hakim. Mentre il Dawa sostiene una politica centralista, l’ISCI preme affinché venga applicata una divisione federale dello stato iracheno. Il risultato delle provinciali sarà fondamentale per comprendere i futuri assetti di potere tra stato centrale e regioni. Nella provincia di Nineveh, infine, si affrontano sunniti e curdi. Anche in questo caso i sunniti intendono riequilibrare in proprio favore gli assetti di potere successivi al boicottaggio del 2005.
Le aspettative per le prossime elezioni sono altissime, ma pesano anche alcune incognite. Innanzitutto il ruolo che avrà la religione. Alcuni esponenti del clero moderato sciita hanno annunciato che non supporteranno alcun partito. Il Grande Ayatollah Ali al-Sistani ha invitato gli iracheni a votare sulla base della propria coscienza per i politici più capaci, indipendentemente dall’appartenenza etnica o religiosa. La stessa legge elettorale prevede all’articolo 35 che i luoghi di culto, come le moschee, i minareti e le chiese cristiane, possono essere usati per “promuovere il processo elettorale” (non per fare propaganda). Tuttavia pensare che le scelte elettorali degli iracheni non verranno influenzate dall’appartenenza religiosa rimane un’illusione.
Il secondo motivo di preoccupazione è rappresentato dal ruolo che avranno gli altri paesi, Iran, Arabia Saudita, ma anche gli Stati Uniti, nel “pilotare” i risultati elettorali attraverso il finanziamento ai candidati ed ai partiti. Mancano delle leggi che regolino i finanziamenti politici, o la pubblicità, e quindi il processo politico iracheno rischia di apparire poco trasparente ed equilibrato. E appare arduo che una legge del genere passi in un Parlamento che ha tutto l’interesse a difendere l’opacità della situazione attuale.
In ogni caso, al di là di queste legittime preoccupazioni, non c’è dubbio che le elezioni si svolgeranno in maniera libera. Se si svolgeranno in sicurezza saranno un passaggio fondamentale per la giovane democrazia irachena e un esempio per le prossime tornate elettorali su scala nazionale. Elezioni ben fatte rinsaldano la fiducia dei cittadini nel funzionamento del processo democratico offrendo l’opportunità di esprimere la propria volontà politica in un contesto pacifico. In questo modo il governo iracheno darà prova che la democrazia è l’unica strada in grado di condurre alla pace ed alla stabilizzazione del paese.