Assad come Gheddafi: quanti morti servono per intervenire in Siria?
14 Maggio 2011
Ieri, dopo la preghiera del venerdì in Siria ci sono state nuove proteste e altri morti. Secondo la Bbc durante il nono venerdì di mobilitazione anti-regime l’esercito ha dovuto inviare rinforzi per tenere sotto controllo la situazione. Infatti, un corteo di manifestanti avrebbe tentato di avvicinarsi all’abitazione privata del presidente Bashar al Assad nel cuore della parte moderna di Damasco. Invece ad Homs, nel centro della Siria e assediata dai carri armati, almeno tre dimostranti sono stati uccisi dalle forze dell’ordine durante la dispersione di una manifestazione.
Continua la detenzione dei manifestanti negli stadi e il dispiegamento massiccio di militari e agenti governativi. Eppure, le proteste sono arrivate anche nel nord-est curdo dove migliaia di persone sono scese in strada nonostante giovedì scorso il presidente Assad avrebbe concesso la naturalizzazione siriana. Così come nelle città al confine con l’Iraq e in quelle confinanti con il Libano. Dal canto suo, Damasco, per contenere la rabbia della nazione, ha annunciato che a giorni “sarà avviato nelle diverse regioni un dialogo nazionale globale". Ma sarà difficile trovare le parole per giustificare l’omicidio di almeno ottocento siriani, vittime dei fratelli Assad, Basher (la mente) e Maher (il braccio armato).
Secondo la Bbc, dopo aver ascoltato le testimonianze dei rappresentanti di associazioni per i diritti umani e dei manifestanti, i morti potrebbero essere anche di più di ottocento, tra cui si registra un alto numero di bambini. Mentre nella sola giornata di giovedì almeno ventisei persone sono morte sotto il fuoco dei cecchini e dei tank dell’esercito di Damasco.
Allora, perché non si ricorre anche in Siria al protettorato internazionale in nome del principio di Responsibility to Protect, lo stesso adottato per giustificare la risoluzione n° 1973 dell’ONU, quindi, autorizzare gli stati membri a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili come in Libia?
La stessa domanda se la son posta i sedici senatori americani che hanno presentato una mozione di condanna verso il presidente Assad. In una conferenza stampa alcuni dei firmatari della mozione, tra cui Joseph Lieberman, Marco Rubio, Ben Cardin e John McCain, hanno spiegato: “Quando sono esplose le prime proteste in Siria si è sperato che Assad imboccasse la strada delle riforme piuttosto che quella della repressione. Ma non è stato così. Non è un riformatore, è un comune delinquente, un assassino, che sta ripercorrendo le mosse del colonnello libico Muammar Gheddafi".
Infatti, i “falchi” Usa vogliono portare l’amministrazione Obama ad adottare sanzioni più dure contro il governo siriano rispetto a quelle adottate lo scorso mese e chiedono la pubblica condanna del presidente americano contro le violenze del regime alawita. Dall’altra parte del muro, avremmo scritto una ventina di anni fa, Mosca ha subito risposto di “non volere rivedere, e altrove e in medio oriente, lo scenario libico” quindi “di non voler intraprendere un intervento militare in Siria”.
Intanto, camion carichi di armi di contrabbando, provenienti dall’Iraq, sono già stati intercettati dal regime di Damasco e potrebbero provenire dall’Arabia Saudita. I wahhabiti di Riyad, infatti, sono molto influenti sui Fratelli Musulmani della Siria e riuscire a indebolire Assad e rompere l’alleanza Teheran-Damasco-Hezbollah sarà un’occasione che i sunniti del regime saudita non si lasceranno scappare. Con o senza l’aiuto della comunità internazionale.