Assad dà spettacolo in parlamento e la Siria si conferma una minaccia
31 Marzo 2011
di B.S.K.
Quando nel lontano marzo 2005 milioni di libanesi manifestavano contro l’occupazione militare e politica della Siria nel Paese dei Cedri, in una piazza vicina a quella dei Martiri Hezbollah aveva riunito, oltre ai suoi sostenitori, decine di operai siriani che si trovavano in Libano, i quali ebbero la possibilità di arrotondare lo stipendio in cambio della loro presenza, al grido di “Bashar, le nostre vite sono al tuo servizio”.
Gli anni passano per tutti, tranne che per il regime siriano. Nulla è cambiato negli ultimi decenni, neanche dopo l’arrivo al potere, nel 2000, di Bashar al-Assad, figlio del defunto Hafez.
Mentre i loro connazionali venivano uccisi a colpi di arma da fuoco dai temuti servizi di sicurezza siriani, centinaia di siriani si sono – o sarebbe meglio dire sono stati – riuniti, forse anche pagati, per mostrare e far sentire i loro slogan al mondo intero: “Bashar, le nostre vite sono al tuo servizio”.
Un’ottima dimostrazione di un regime esemplare, da far invidia ai vari Stalin e ai vari Hitler. “Se dovesse esistere una Scuola delle Torture, il regime siriano sarebbe il primo della classe”, ebbe a dire anni fa uno tra le centinaia di libanesi rapiti e torturati nelle carceri di Damasco. La paura, l’intimidazione e i metodi terroristici hanno spinto quei siriani a scendere in piazza per dimostrare il loro “affetto” a un presidente che ha ordinato, o perlomeno acconsentito, il massacro dei loro connazionali in diverse aree della Siria.
E se ci fosse il Teatro del Regime, verrebbe da dire oggi, il regime siriano sarebbe l’attore protagonista. Perché il discorso di Bashar al-Assad alla nazione non è stato altro che una messa in scena del migliore Shakespeare. “Sii solo e non sarai nessuno”, scriveva il drammaturgo inglese, e sembra che questo noto aforisma sia stato ben recepito proprio dal regime siriano.
Attorno alle 13:30 ore italiane del 30 marzo, Bashar al-Assad giungeva, accolto dal pubblico pagante – e allo stesso tempo pagato – al teatro del Parlamento siriano. Ed è qui che ha inizio la scena. Il presidente siriano, negli oltre 40 minuti del suo discorso, verrà interrotto decine e decine di volte dai vari parlamentari – uomini, donne, sceicchi– i quali, dando prova di alto mecenatismo, gli hanno dedicato versi in rima per elogiare la sua persona. “La nazione araba è piccola per te mio Signore, tu devi guidare il mondo!”, è stato l’epilogo di un parlamentare.
Ma cosa ha spinto il giovane Leone di Damasco a recarsi in Parlamento e rivolgere un discorso alla nazione? Circa due settimane fa, l’ondata delle proteste arabe ha inevitabilmente raggiunto anche Damasco. Centinaia di giovani siriani sono scesi in piazza per dire no al regime, e la reazione dei servizi di sicurezza è stata violenta. L’ultima volta era accaduto nel 1982, a Hama, quando la polizia di Assad padre massacrò i sunniti vicini ai Fratelli Musulmani. Fu un chiaro segnale del regime, e da allora nessuno osò alzare la voce.
Ma le rivolte in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen hanno dato coraggio anche al popolo siriano, che a Deraa ha abbattuto, a caro prezzo, il muro del silenzio e della paura. Gli stessi giovani siriani di oggi, avevano avuto la loro occasione nel 2005, incoraggiati dai loro vicini libanesi, ma i tempi erano diversi e non maturi. Oggi, l’Occidente sostiene le rivolte, e ciò ha dato coraggio e speranza ai popoli.
Dopo due settimane di silenzio, e decine di morti, il regime siriano, rappresentato da Bashar al-Assad, ha deciso di rivolgersi al suo popolo. Nella forma, si è trattato di un episodio denso di demagogia e propaganda; nella sostanza, Assad non ha detto nulla di nuovo rispetto al suo discorso di insediamento nel 2000.
Non ha sospeso lo stato d’emergenza in vigore dal 1963, non ha preannunciato in modo chiaro le riforme, non si è mostrato rammaricato per le decine di vittime siriane, ma ha preferito utilizzare un termine tanto caro agli arabi: complotto. Due sono gli aspetti essenziali del suo discorso, che gli occidentali, e gli arabi, devono cogliere per comprendere e prevedere dove il regime si sta dirigendo: l’esistenza di un “grande complotto” sostenuto da fazioni interne ed esterne, e la priorità della “sicurezza nazionale”.
Al complotto non si risponde con le riforme, ma, se necessario, con lo scontro. “Se dovesse essere necessario, combatteremo. Lo scontro non ci spaventa”, ha dichiarato il presidente siriano tra un encomio e l’altro. “Sicurezza nazionale” significa stroncare sul nascere, anche con la forza, qualsiasi minaccia alla stabilità del paese, e i manifestanti lo sono. Numerosi siriani intervistati da alcune agenzie stampa occidentali e arabe, hanno letto in questa dichiarazione un chiaro semaforo verde alle forze di sicurezza affinché reprimano ogni forma di protesta.
Ma a preoccupare – e dimostrare il carattere marziale del discorso di Assad – è una terza dichiarazione: “Ciò che sta accadendo oggi somiglia a quanto accaduto nel 2005”. Come accennato sopra, nel 2005 la Siria, accusata dell’omicidio Hariri, fu costretta a ritirarsi dal Libano. E quale fu allora la reazione del regime siriano? Decine di attentati in Libano, omicidi eccellenti, destabilizzazione e sostegno a gruppi estremisti. Se la situazione di oggi è uguale a quella del 2005, come ha sottolineato Assad, l’Occidente si prepari, dopo aver risolto la crisi libica, ad affrontarne una di proporzioni maggiori, e con risvolti imprevedibili.