Assad getta la Siria in una guerra civile e nessuno sembra in grado di fermarlo
01 Agosto 2011
Il regime di Bashar al Assad ha sferrato il suo colpo più duro contro l’opposizione alla vigilia del mese sacro di Ramadan lasciando sulla sua strada più di cento vittime (ma il bilancio è in continuo aumento) e un numero incalcolabile di feriti.
Si è trattato di un gesto feroce e disperato, segno più della paura che della capacità di tenuta del governo siriano. Da quattro mesi infatti ogni venerdì le folle dei fedeli siriani in preghiera si trasformavano quasi ovunque nel paese in ondate di manifestanti anti-regime. Con l’avvio del Ramadan i ribelli avevano promesso di portare le folle in piazza in ogni singolo giorno del mese sacro e di indurre il governo alawita di Assad alla resa.
Così domenica mattina le forze della repressione hanno inferto un colpo di maglio alla città simbolo della ribellione, Hama, che già da settimane aveva proclamato una sua indipendenza di fatto ed era stata di ispirazione per molte altre città del paese. I carri armati e i blindanti della Quarta Divisione Corazzata agli ordini di Maher al Assad, fratello del rais hanno travolto le fragili barricate messe in campo dai cittadini e hanno sparato sulla folla armata spesso solo di bastoni e sassi. Stando ai racconti dei blogger e dei pochi testimoni che sono riusciti a far filtrare informazioni da Hama, il fuoco dell’artiglieria era così fitto da rendere impossibile anche il recupero dei feriti e dei cadaveri per le strade. Anche il conteggio delle vittime è ancora tutto da verificare e solo una stima prudenziale si attiene poco sopra il centinaio.
Il governo doveva aver preparato li massacro di domenica da tempo, mobilitando contemporaneamente le forze corazzate non solo contro Hama, carica del ricordo tragico del massacro voluto da Hafez al Assad nel 1982 che fece dai 10 ai 20 mila morti, ma anche contro la città di Deir al- Zour, la quinta più grande della Siria e contro Dar’a, nella parte sud-occidentale del paese, dove già lo scorso marzo l’esercito aveva arrestato e torturato decine di giovani, rei di aver scritto slogan anti-regime sui muri della città.
L’operazione decisa da Assad contro un paese che ormai da più di quattro mesi non crede alle sue promesse di riforme e con un coraggio mai visto affronta la repressione più sanguinosa di tutte le cosidette “primavere arabe” sembra insieme folle e disperata. Il rais ha dato mostra di ignorare ogni richiamo della comunità internazionale e delle organizzazioni multilaterali e di non temere le sanzioni già imposte contro figure chiave del regime. Allo stesso tempo non ha trovato alto mezzo che quello della violenza per rispondere alle richieste della sua popolazione e in particolare della maggioranza sunnita che morde il freno dopo quarant’anni di oppressione.
E’ difficile però credere che anche la ferocia degli attacchi di domenica mattina possa davvero scoraggiare la rivolta in atto che prosegue in crescendo da mesi nonostante un bilancio di circa 14.000 vittime, 10.000 arresti e un numero altissimo di rifugiati verso la Turchia. Con il Ramadan la folla dei fedeli e quella dei ribelli è destinata a fondersi in un unico quotidiano tumulto che molto probabilmente investirà anche Damasco e Aleppo, rimaste finora ai margine della ribellione.
E’ la stessa situazione economica della paese che è sfuggita al controllo del governo: si parla di miliardi di dollari di capitali in fuga all’estero, banche sull’orlo del fallimento, l’attività produttiva crollata del 50 per cento. Gli analisti ritengono che tutto questo porterà alla rottura di quel tacito patto tra la classi produttive del paese, i grandi commercianti, e il regime, secondo il quale alla rinuncia dei diritti civili corrispondeva la garanzia di prosperità e di stabilità.
Senza più il sostengo della borghesia produttiva siriana ad Assad resterà solo l’aiuto avvelenato dell’Iran per regge l’urto della protesta: e già molte testimonianze parlano di agenti iraniani infiltrati nei ranghi dell’esercito impegnati nella repressione di piazza. Ma anche l’aiuto iraniano rischia di non essere sufficiente, condizionato com’è dagli altolà turchi che sull’area hanno interessi contrapposti.
Fino a ieri Assad poteva avere due strade davanti a sé: cedere a un accordo serio con l’opposizione, aprire a una stagione di riforme democratiche, indire elezioni non manipolate per dare vita a un governo multi-etnico e multi-religioso; oppure resistere e gettare il paese in una sanguinosa guerra civile, appesantita da decenni di odii, di tensioni e di brama di vendetta. Con gli attacchi di domenica sembra essersi lanciato a capofitto in questa seconda disperata opzione, in linea con la folle storia personale e della sua famiglia.
Purtroppo, mentre Barack Obama è impegnato a salvare l’America dal default, l’Europa cerca di evitare il tracollo dell’Euro, l’Onu si dedica alla proclamazione unilaterale dello Stato palestinese e la Nato non riesce a stanare Gheddafi dal suo bunker, sembra non essere rimasto nessun in grado di fermarlo.