Assad promette riforme e libertà ma in Siria cresce il numero dei morti
19 Aprile 2011
Le proteste in Siria vanno avanti da più di un mese, anche se queste notizie non sembrano "bucare il video" nei Paesi occidentali com’è avvenuto con altre rivolte. Nubi sempre più tempestose, però, continuano ad addensarsi sul Paese del Medio Oriente, e sul destino del suo presidente, Bashir al Assad. Una figura controversa, la cui immagine è sempre più in bilico a causa dei suoi comportamenti discordanti tanto in politica interna quanto su quella estera.
Sono giorni che Assad promette riforme necessarie ad un cambiamento della società e della politica siriana, nel tentativo di arginare le proteste che ormai dilagano in tutte le principali città del Paese. “Nel giro di una settimana”, ha detto, verrà abolito lo stato di emergenza in vigore dal 1963, come chiesto da tempo dagli oppositori. Ci sono state aperture sulla libertà di stampa e su di un piano per combattere la disoccupazione e aiutare l’economia. Nel suo primo discorso al nuovo governo, Assad ha promesso che le “riforme risponderanno alle richieste dei manifestanti”.
Sembrerebbero parole di buon senso, pronunciate da un leader che secondo alcuni ha dimostrato di avere una buona dose di realismo e pragmatismo che gli ha consentito di sopravvivere al "decennio terribile" dopo l’11 Settembre, ma quelle parole stridono con ciò che accade fuori dai palazzi del potere. Secondo fonti dell’opposizione, solo nel weekend ci sarebbero stati circa 200 morti negli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti a Latakia, Homs e Damasco. L’opposizione ha anche organizzato dei sit-in di fronte agli ospedali per chiedere al governo di non ostacolare il lavoro dei medici, spiegando che i feriti hanno diritto ad essere curati.
Insomma, l’immagine che il presidente ha provato a dare di sé, quella di un leader pronto alle riforme, vicino al popolo, e che ne comprende le preoccupazioni, si sta rivelando semplicemente una copertura propagandistica utile a "mascherare" quanto più possibile la repressione interna. Assad ha paura, tanto più che il Washington Post ha diffuso la notizia che il dipartimento di Stato Usa avrebbe finanziato indirettamente l’opposizione siriana dal settembre del 2010 (ma questo tipo di sostegno risalirebbe alla amministrazione Bush).
A complicare le cose c’è anche una situazione (come sempre) esplosiva in Medio Oriente, a cui il presidente siriano risponde ancora una volta alzando il volume della propaganda. La tv di Stato di Damasco ha accusato il partito “Movimento del Futuro” dell’ex premier libanese, Saad Hariri, di voler minare la stabilità della Siria e di interferire nelle proteste, accuse che fanno seguito a quelle di aver organizzato cellule terroristiche in Siria. Sempre secondo l’emittente siriana, Hariri avrebbe cercato sponde fra i Fratelli Musulmani siriani e presso l’ex vice presidente di Damasco, Abdel Halim Khaddam, per destabilizzare i rapporti tra Iran e Siria: “Hariri ha consigliato all’amministrazione Usa di adottare a nuova politica di isolamento veso la Siria al fine di separarla dall’Iran”.
L’alleanza con Teheran resta la grande incognita della crisi siriana. Laddove Teheran ha esaltato le rivolte nel mondo arabo in funzione anti-occidentale, la stessa attenzione non è stata rivolta alle proteste che in Siria, che preoccupano il governo dei mullah. La capacità iraniana di influenza sull’Hezbollah libanese, come pure su Hamas a Gaza, sarebbe per forza di cose ridotta se Assad venisse sostituito. Teheran, infine, ha miliardi di dollari di investimenti in ballo in Siria. Ma questa ipotesi, di un cambio di regime sfavorevole all’asse Assad-Ahmadinejad, per adesso sembra lontanissima. Ad esser chiaro, per il momento, a Damasco, è solo il numero delle vittime, che continua a salire.