Assange ha fatto molti danni agli Usa,   è il momento di fermare il sabotaggio

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Assange ha fatto molti danni agli Usa, è il momento di fermare il sabotaggio

06 Dicembre 2010

E’ comprensibile che l’amministrazione Obama minimizzi il significato della pubblicazione da parte di Wikileaks dei dispacci del Dipartimento di Stato. Se da una parte è saggio non abbandonarsi al panico pubblico, dall’altra è fuorviante pensare che sia solo dell’imbarazzante gossip o peggio che si tratti solo d’indiscrezioni. Le fughe di notizie provocate da Wikileaks hanno arrecato danni maggiori agli interessi USA.

In primo lugo hanno danneggiato la nostra capacità di condurre operazioni belliche. Prendiamo una delle rivelazioni tra le centinaia: il presidente yemenita e il suo vice-primo ministro sono citati in alcune conversazioni in cui ammettono di permettere agli Stati Uniti di bombardare postazioni di al-Qaeda nel loro paese, quando ufficialmente si concedeva che fossero loro stessi a bombardarle. E’ evidente che quella copertura è ormai bella che saltata. E dato l’impopolarità di cui ‘gode’ il governo di Sanaa per la tenace cooperazione con noi (gli Stati Uniti .ndt) nella guerra contro al-Qaeda, l’esposizione di quelle conversazioni da parte di Wikileaks limiterà senza dubbio la nostra libertà di manovra contro la branca yemenita di al-Qaeda, identificata dalla CIA come la più urgente minaccia terroristica alla sicurezza USA.

In secondo luogo, in conseguenza delle rivelazioni di Wikileaks, gli Stati Uniti hanno sofferto un duro colpo nella loro capacità di raccogliere informazioni. Parlare oggi candidamente a un diplomatico statunitense ti può immediamente portare alle prime pagine dei giornali del mondo, condurti a guai in casa e, se possibile, anche a qualcosa di peggio. Il successo della nostra guerra al terrorismo dipende anche dalla capacità di renderci affidabili quali depositari dei segreti degli altri paesi. Chi si fiderà di noi d’ora innanzi?

In terzo luogo, ciò che è accaduto ci mette sotto una cattiva luce, anzi, cattivissima. Non nel modo che intende la segretaria di Stato Hillary Clinton la quale, con un raccapricciante discorso di difesa, ha fatto la ramanzina ai pessimi trafugatori di notizie per aver apportato pregiudizio alla “comunità internazionale” e deplorato un po’ malinconicamente una fuga di notizie che ha portato, a suo dire, pregiudizio agli sforzi statunitensi per un mondo migliore.  

Il suo discorso sembrava quello di un personaggio a mezza via tra un direttore di scuola esasperato e una concorrente per il titolo di Miss America alle prese con il suo più intimo desiderio di pace nel mondo. Il problema connesso con la pubblicazione di questi dispacci non è l’esposizione dell’ipocrisia statunitense o del suo doppio gioco. Buon Dio, questa è l’essenza stessa della diplomazia. Questo è quello che facciamo; questo è quello che tutti fanno. Da cui il famoso aforisma che vuole che ‘un diplomatico sia una persona onesta mandata all’estero a mentire per il suo paese’.

Niente di nuovo sotto il cielo. Ciò che invece è ‘ragguardevole’, se non scioccante, è la torpida e passiva reazione dell’amministrazione Obama alle fughe di notizie. Quel che lascia basiti è l’impotenza di una superpotenza la quale non solo non riesce a proteggere i suoi segreti, ma che inoltre mostra al mondo che quando li si viola – massicciamente, in modo provocatorio e con malizia – non vi siano conseguenze di sorta.

Adesso il danno è fatto e tutti sanno. I dispacci sono pubblici. Deplorare un’azione del genere o provare a dare delle spiegazioni, alla Clinton per intenderci, è semplicemente patetico. E’ tempo di diventare un po’ marziali. E’ tempo di mostrare a questi criminali da strapazzo che non lasceremo che la facciano franca.

Durante una conferenza stampa dello scorso lunedì, il ministro della giustizia USA, Eric Holder, ha rassicurato i giornalisti sul fatto che i suoi uomini stavano diligentemente vagliando la possibilità di un’azione legale contro Wikileaks. Dov’è stato Holder sinora? La divulgazione dei documenti sulla guerra in Afghanistan è avvenuta 5 mesi fa. Holder sta vagliando ora la possibilità di una messa in stato d’accusa? Gli USA sono un paese dove un buon procuratore può accusare un panino al prosciutto. Mesi dopo la fuga di notizie, gli avvocati del Dipartimento della giustizia devono ancora preparare i capi d’imputazione a carico di Julian Assange e i suoi complici?

Gettiamogli addosso l’Espionage Act del 1917, la legge contro lo spionaggio statunitense. E se non è adeguata, se la legge è stata inibita e annacquata da successive decisioni della Corte Suprema, allora perché l’amministrazione Obama non ha preparato una nuova legislazione adatta a questo genere di nuovi attentati alla sicurezza USA nell’era di internet? Come se non fosse noto che altre fughe di notizie stessero arrivando. E altre ne stanno arrivando.

Pensiamo con creatività. La pubblicazione dei documenti da parte di Wikileaks è sabotaggio bello e buono, per quanto tale parola appaia antiquata. Siamo in guerra. Una guerra calda in Afghanistan dove, non più tardi di lunedì scorso, 6 americani sono morti. Una guerra mondiale combattuta nell’ombra, dove nemici di ogni sorta pianificano il “santo terrore” dallo Yemen a Portland (Oregon, USA). Franklin Roosvelt fece giustiziare 6 sabotatori tedeschi dopo averli fatti giudicare da una Corte marziale. Assange ha fatto molti più danni agli USA di quanto non ne avessero fatti quei sei tedeschi messi insieme. Mettere segreti statunitensi su internet, uno strumento di universale disseminazione del tutto nuovo nella storia dell’umanità, richiede una riconcettualizzazione della nozione di sabotaggio e di spionaggio, accanto ovviamente a nuove leggi per punire e prevenire tali atti. Dov’è stato il Dipartimento della Giustizia su questo fronte? E dove stanno quelle agenzie governative d’intelligence che costano al contribuente statunitense 80 miliardi di dollari all’anno?

Assange è scomparso. E giacché sappiamo che non siamo alla presenza di uomo ascetico delle caverne in preda al furore jihadista, può essere scovato. Incominciamo da tutti gli alberghi a cinque stelle in Inghilterra e poi giù, via via, a scendere.

Vogliamo premunirci dall’eventualità che ciò possa ripetersi? Mostriamo al mondo un uomo non più libero di dormire due notti consecutive nello stesso letto, costretto a temere la longa manus della giustizia americana. Non sostengo che dovremmo riportare in auge le pratiche di quell’agente del KGB che, in una via di Londra, uccise un dissidente bulgaro con la punta avvelenata di un ombrello. Ma non dovrebbe dispiacerci se persone come Assange avessero un brivido lungo la schiena ogni volta che camminano sotto la pioggia.

(Traduzione di Edoardo Ferrazzani)

(Tratto da Washington Post)